Geremia 31,31-34; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33 Avvicinandosi la Pasqua, Gesù cerca di preparare i suoi discepoli ai giorni dolorosi della passione. Non è, neppure per lui, un’impresa facile, psicologicamente non sono preparati, perciò ricorre a delle immagini più convincenti. Vogliamo vedere Gesù. Spesso la folla si fa largo per “vedere Gesù”. Anche alcuni greci, giunti a Gerusalemme, chiedono di vedere il giovane profeta e chiedono a Filippo, uno dei discepoli, “vogliamo vedere Gesù”. È una richiesta che non sarà soltanto di quei pochi pellegrini. Altre folle e altre generazioni faranno la stessa richiesta “vedere Gesù”.
Ma come, ma dove? Gesù stesso ha detto, nel caso di un aiuto dato ai poveri: “L’avete fatto a me”. Dunque,non è finita la sua presenza tra noi. E questo tempo di Quaresima ci ricorda che la vera conversione del cuore, consiste nel fare opere di carità verso i più disagiati. Non possiamo vivere per noi stessi. Ogni giorno possiamo incontrare chi ha bisogno di noi. Ecco, un nostro sicuro incontro con Gesù, come quello di Francesco con il lebbroso o di Madre Teresa con i poveri di Calcutta. Essi “hanno visto Gesù” e l’hanno saputo riconoscere, in quei volti deturpati, in quelle membra piagate. È giunta l’ora. Ora Gesù non fa più misteri e parla apertamente della sua fine, ormai prossima: “È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Nel linguaggio usato dal quarto evangelista “l’ora”, di cui si parla è quella della croce. Da quella Gesù trarrà la sua gloria, sconfiggendo il peccato e la morte. La gloria avrà poi la sua pienezza nella risurrezione. Ma prima bisogna che “il chicco di grano, caduto in terra, muoia, altrimenti non porta frutto”.
Così sarà per chiunque voglia vivere il Vangelo. “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Non si tratta di odiare questa vita terrena, che è dono di Dio, ma di non limitarsi a quella. Non lasciarci, cioè, affascinare dall’effimero, con il pericolo di perdere l’eterno. Ciò che conta è saper fare della propria vita una donazione, un servizio per gli altri. Non pensando solo a noi stessi, egoisticamente. Attirerò tutti a me. “Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Giovanni commenta brevemente: “Questo diceva per indicare di quale morte doveva morire”. Ormai la croce si staglia precisa e incombente. Gesù non esita nel predire neppure il genere di morte che stava per affrontare. L’elevazione da terra avverrà per opera dei suoi crocifissori.
Egli parla anche di un giudizio, che non sarà nelle parole ma nei fatti, con la sconfitta definitiva di satana. Gesù infatti aveva dichiarato di essere venuto “non per giudicare il mondo, ma per salvarlo dal maligno”. Il giudizio è, dunque, quello della croce.
Un segno che è stato anche difeso, giustamente, dal Consiglio di Stato, lasciato per decreto nelle aule scolastiche, perché segno di civiltà, simbolo dei valori umani più alti come il rispetto della persona umana, la condanna di ogni forma di violenza, la difesa dell’innocente, il valore della sofferenza e del perdono, segno per tutti di uguaglianza e di fraternità. In questo senso, tutti, se vorranno, potranno essere attirati dalla croce e dal quel Crocifisso, che ha dato la sua vita per noi.
Carlo Caviglione