Michea 5,1-4; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-48 Quanto più si avvicina il gran giorno della nostra salvezza, tanto più cresca il nostro fervore, per celebrare degnamente il Natale. Così prega la Chiesa in questa ultima domenica di Avvento che, quest’anno, è anche vigilia della Natività. L’attesa del Signore ci è descritta da Luca, l’evangelista, mettendo in evidenza la protagonista di quell’attesa, Maria. La Madre che, per prima, si preparò alla nascita del Figlio di Dio, come l’angelo le aveva annunciato. Dopo di che “Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. Maria era stata avvertita dall’angelo che la sua parente anziana, appunto Elisabetta, era in attesa di un figlio che si chiamerà poi Giovanni. Il viaggio di Maria era il primo viaggio missionario della nuova storia cristiana. La Vergine, infatti, non va da Elisabetta solo per mettersi al suo servizio, ma per portare da lei la presenza di Colui che ha concepito nel suo seno. In forza di quella presenza, il Battista, che sta per nascere, viene santificato nel seno materno. Colei che sarà poi invocata come “regina degli apostoli”, ha dato inizio alla sua missione. Da allora la Madre sarà accanto al Figlio, sino ai piedi della croce, per condividere con Lui la sua missione di salvezza, tanto da poter essere chiamata con verità la Corredentrice. “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo… Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia”. Questa esultanza del bambino e di sua madre si ripercuote ovunque in questi giorni di Natale, anche fuori dalle chiese. Le nostre città sono piene di luminarie, non c’è casa dove non si accendano le luci dell’albero o quelle del presepe. Inutile dire che il Natale è considerato come la festa più grande, certo più sentita da tutti, persino dai non cristiani. Eppure si avverte un senso di vuoto. I poveri sono più tristi, gli anziani spesso più soli. Ci si accorge facilmente che al nostro Natale manca qualcosa. Forse è un Natale povero di amore. Si fanno regali, si ricevono doni, quasi per compiere un rito, stanco e senz’anima. Ma che posto hanno i veri poveri nel nostro Natale? Ed è veramente un’occasione per perdonare a chi ci ha fatto del male? Per rinsaldare vincoli di comunione con certi nostri parenti dimenticati? Le parole dette da Elisabetta a Maria: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” sono entrate a far parte della preghiera più diffusa e ripetuta dai cristiani cattolici “l’Ave Maria”. Così salutiamo e benediciamo la Madre del Signore, poiché, come ha detto la stessa Elisabetta, ella è “Colei che ha creduto”. È piaciuta a Dio per la sua umiltà, ma quanto a noi, ci è di esempio per la sua fede. Non era facile credere a quelle parole dell’angelo. Che lei, vergine, sarebbe diventata madre e, più ancora, madre del Figlio dell’Altissimo. Eppure la Vergine non ebbe esitazione e si dichiarò totalmente e liberamente consenziente: “Si faccia di me secondo la tua parola”. Consegnò totalmente la sua vita nelle mani del Signore, senza riserve, senza limiti, senza condizioni. Non è stato, come spesso è il nostro, un “do ut des”, quando preghiamo per chiedere qualcosa a Dio, senza domandargli mai quanto voglia da noi. La Vergine ci insegna un atteggiamento diverso. Quello di affidarci sempre con fiducia a Dio, contando sulla sua bontà e infinita misericordia. Carlo Caviglione