Domenica 7 agosto 2005

1Re 19,9.11-13; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33

Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci viene riassunto e ripreso all’inizio dell’odierno lezionario con queste parole: “Dopo che la folla si fu saziata…”. Ecco poi che si apre una nuova scena. Gesù finalmente riesce a stare solo per pregare. Ricordiamo che ne aveva avuta l’intenzione appena saputo della morte del Battista, ma senza successo, a causa della sua compassione per la folla (cfr. Mt 14,14). Ora questa viene davvero congedata, e Gesù sale sul monte, per rimanere solo. Sembra un dettaglio insignificante, ma credo significhi che Gesù non solo ha avuto attenzione agli altri, ma è stato anche e soprattutto attento al dialogo col Padre: ugualmente, anche noi non possiamo dedicarci totalmente agli altri, dimenticando invece Dio.

Ora l’attenzione del nostro Vangelo si sposta da Gesù ai suoi discepoli, ovvero dal monte – dove Gesù si trova – al lago di Galilea, dove questi invece stanno. Non sappiamo perché i discepoli siano ancora lì. Stanno pescando? Anche se siamo abituati a questa scena, il nostro testo non lo lascia pensare; infatti i Vangeli dicono che la ragione della traversata è per precedere Gesù sull’altra sponda (cfr. Mt 14,22). Ma se ormai al termine della notte i discepoli non sono ancora arrivati, qualcosa non deve aver funzionato. Solo al versetto 24 apprendiamo cosa è accaduto: il vento contrario ha impedito ai discepoli di raggiungere la riva. Chi è stato a Tiberiade, la città ora più importante del lago di Galilea, sa che i pescatori del luogo, anche quelli più esperti, temono gli improvvisi cambiamenti di “umore” del lago. Il vento che soffia, anche d’estate e soprattutto di pomeriggio o di sera, è davvero forte e pericoloso: onde alte, tempeste improvvise, sono registrate anche nei racconti evangelici (cfr. Mt 8,24 = Mc 4,37).

Se confrontiamo il nostro racconto con quello di Marco (Mc 6,45-52), scopriamo a questo punto alcune caratteristiche interessanti. Secondo Marco, Gesù vede i discepoli che sono ormai stanchi di remare e decide di avvicinarsi a loro, forse per aiutarli; ma senza farsi vedere, aggiunge l’evangelista: “Avrebbe voluto sorpassarli” (Mc 6,48). Non capiamo pienamente il senso di queste espressioni, che sembrano contrastanti: Matteo risolve il tutto omettendo quanto legge da Marco e scrivendo solo che “Gesù venne verso di loro camminando sul mare” (Mt 14,25). Il verbo che Marco usa per dire che Gesù li voleva sorpassare (par-erkomai) è molto interessante: tra le sue tante occorrenze nel Primo Testamento, alcune riguardano proprio il passare di Dio, come nel caso della gloria che passa oltre Mosè (Es 33,22) o della presenza che oltrepassa Elia (1Re 19,11).

Questo ci porta a pensare che il racconto del nostro episodio nella redazione marciana voglia sottolineare particolarmente la misteriosa manifestazione di Dio all’uomo: si tratta di una vera e propria epifania (R.Guelich, Mark, WBC). È questa, del resto, la scelta compiuta dal lezionario che associa al nostro Vangelo, come prima lettura, il brano dal Primo libro dei Re. Il vangelo di Matteo, invece, sembra essere maggiormente interessato a sottolineare il problema della fede: i versetti da 28 a 31, infatti, sono propri del Primo Vangelo e fanno parte della tradizione che questi ha ricevuto. È difficile capire perché Pietro chieda di poter prendere parte ad una esperienza straordinaria come il camminare sull’acqua; ma dietro questo racconto vi è forse il tema del coraggio della fede. Camminare sul mare significa credere che la potenza di Dio è più grande degli spiriti che lì sono presenti, significa credere che la fede può tutto e nulla è impossibile per chi crede (cfr. Mt 17,20).

Di particolare interesse è la finale del racconto. Laddove per Marco il racconto prevede una domanda sull’identità di Gesù che rimane sospesa (“non avevano capito”, Mc 6,52), il racconto di Matteo si chiude invece con una confessione di fede: gli indizi che Gesù lascia ai discepoli e ai lettori (“Sono io”, Mt 14,28) sono sufficienti per prostrarsi ed esclamare: “Tu sei veramente il Figlio di Dio” (Mt 14,33). In effetti, solo Dio può camminare sulle onde del mare, è scritto nel libro di Giobbe (“Dio dispiega i cieli e cammina sulle onde del mare”, Gb 9,8); solo chi è come Dio può fare quello che ha fatto Gesù. È vero, anche Mosè ed Elia hanno attraversato le acque del mare (cfr. Es 14,21; 2Re 2,8), ma l’uno sull’asciutto e l’altro sopra il suo mantello. Solo Gesù vi può camminare sopra.

Nessuno dei presenti ha mai visto nessuno camminare sulle acque, tanto che per molti è difficile credere ai racconti di miracoli di Gesù sulla natura. Quelli poi, anche tra gli studiosi e i biblisti, che sono propensi a ritenere che molte guarigioni raccontate nei Vangeli sono guarigioni da malattie psicosomatiche, difficilmente crederanno alla storicità del nostro racconto. È da sottolineare che lo scopo dei Vangeli non è quello di raccontare esattamente come storicamente sono avvenute le cose lì narrate, ma è pur vero che alcuni punti – come i racconti dei miracoli – definiscono chiaramente chi è il Gesù a cui noi ci riferiamo. Per noi cristiani non è semplicemente un profeta, ma è il Messia, ed è Dio stesso, il Dio con noi. Se togliamo a Dio la possibilità di compiere miracoli sulla natura, non riconosciamo che è lui il creatore dell’universo. Inoltre, Gesù ha vissuto nella terra di Israele, e come i rabbini dicono, su quella terra benedetta i miracoli non solo sono possibili, ma sono la normalità.

Giulio Michelini