Domenica 28 agosto 2005

Geremia 20,7-9; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27

Chi vuol accettare in pieno la logica del Vangelo e, anche oggi, seguire Cristo come suo discepolo, deve mettere in conto la croce e la sofferenza a causa della propria fede. Nel mondo non troverà applausi e consensi. Cristo invita a seguirlo anche in mezzo alle persecuzioni.   SOFFRIRE MOLTO. Salendo verso Gerusalemme Gesù vuole anticipare ai suoi discepoli la sorte che sta per affrontare. Dice chiaramente che “doveva soffrire molto da parte degli anziani, dai sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e resuscitare il terzo giorno”. I discepoli restano sorpresi da questa prospettiva terrificante. Pietro in particolare, chiama Gesù in disparte per dirgli: “Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai!”. La risposta è pronta e tagliente, come una spada: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Pietro non s’era mai beccato un rimprovero tanto duro, a motivo di poche parole.

Quale era lo scandalo? Aveva tentato di deviare il suo Maestro dal cammino intrapreso e che il Padre gli aveva assegnato: quello della croce, per la nostra salvezza. Croce e sofferenza. Il Figlio dell’uomo “doveva soffrire molto” e proprio da parte di coloro che erano deputati a custodire e attuare le Scritture, che parlavano di lui: anziani, scribi e sacerdoti. Così avverrà altre volte nella storia della Chiesa. Saranno proprio i custodi della dottrina a far soffrire “molto” la comunità cristiana, dividendola o lacerandola a causa della loro ambizione. Pietro diventa satana e impedisce a Cristo di continuare nel mondo l’opera di salvezza.   PRENDERE LA CROCE. Gesù non illude nessuno e parla con chiarezza. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà; ma chi perderà la sua vita per causa mia, la troverà”. Poche volte si hanno nel Vangelo parole così radicali. La croce non è facoltativa, ma una “conditio sine qua non”, non può farne a meno chi vuol essere cristiano. Il che significa impegnarsi nella vita a seguire Cristo in ogni situazione, in mezzo alle difficoltà.

Oggi il vero cristiano è emarginato dalla cultura dominante, dalle correnti di pensiero, dal diffuso relativismo. È persino diffidato dall’esprimere le sue certezze, la sua fede nella verità è appena tollerata, considerata superata dai tempi e dalla storia. La persecuzione continua. Però il discepolo è chiamato a dare persino la vita, per la verità e la giustizia. Il suo “dare” sarà un ricevere, poiché tutto gli sarà restituito e con abbondanza. Non abbiate paura, aveva detto Gesù. “Io ho vinto il mondo”. E proprio dall’alto della croce.   GUADAGNARE E PERDERE. Sappiamo bene che l’avidità dell’uomo non conosce limiti, ma Gesù avverte i suoi discepoli dicendo: “Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?”. Ci sono dei valori che superano ogni guadagno, come indicano le parabole del tesoro nel campo e della perla preziosa. Nella scala dei valori, al vertice non c’è il corpo ma lo spirito, non la salute fisica (che pure è un dono di Dio) ma quella spirituale.

Ci ingolfiamo tanto nelle cose di questo mondo, da perdere di vista i beni eterni. Al contrario, dice Gesù, nulla può essere dato in cambio della propria anima, che dobbiamo alimentare, proteggere e custodire. È lo spirito dell’uomo che non muore, tutto il resto perisce ed ha, di conseguenza, un’importanza molto relativa. Sarà il caso di pensare più spesso a questa verità, anche per non essere troppo preoccupati delle cose di questo mondo. Sono periture e non eterne.

Carlo Caviglione