Ezechiele 33,7-9; Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20
Nella recente Giornata mondiale della gioventù, Benedetto XVI ha ribadito la necessità, da parte della Chiesa, di essere in dialogo con tutti, uomini, religioni e civiltà. Al tempo steso è sempre esistito all’interno della comunità cristiana il dovere della correzione fraterna, in modo da aiutare i più deboli nella fede o chi si allontanasse dalla norma morale.
UN DISEGNO PASTORALE. Per vivere in una comunità di persone – e tale è la Chiesa – bisogna saper accogliere anche alcune regole di convivenza e, soprattutto sentirsi responsabili gli uni degli altri, come fratelli. E questa è la parola usata dal Vangelo. “Se tuo fratello commette una colpa”, non un estraneo, quindi, ma uno della tua stessa famiglia. Commettere una colpa può capitare a tutti, anche tra i membri della Chiesa. Non è uno scandalo.
Il Papa l’ha ricordato ai giovani, dicendo che si può anche criticare la Chiesa, poiché in essa cresce il buon grano insieme alla zizzania. Non si deve aver fretta di estirparla, ma sentire piuttosto la responsabilità di aiutare, nel cammino, chi è più debole e più fragile, seguendo i criteri del Vangelo. “Ammonisci il tuo fratello fra te e lui solo”. Non la condanna, come primo passo, ma la comprensione e, al tempo stesso, la riservatezza. Tutto deve essere ispirato a quella carità che “tutto copre e tutto sopporta”. Non è un compito facile, poiché si tratta sempre di non farsi giudici dei nostri fratelli, ma di ispirare ogni nostro comportamento al perdono e alla misericordia.
LEGARE E SCIOGLIERE. Gesù usa questa espressione nel conferire a Pietro i pieni poteri su tutta la Chiesa. Ma anche i semplici cristiani sono chiamati, tra loro, a sciogliere sopra la terra quei nodi che possono essere causati dalle loro relazioni. A cominciare dalle persone più vicine, come i familiari. Per questioni, spesso economiche, si producono a volte scissioni, separazioni e drammi profondi, che durano per anni, persino per tutta una vita. Il rancore li alimenta per il fatto di ritenersi vittima di ingiustizie o di torti non meritati e, per di più, provenienti da persone alle quali si voleva bene, si ritenevano oneste e giuste verso di noi.
Tutto ciò avvelena i reciprochi rapporti e ci impedisce, giustamente, di sentirsi tranquilli con la propria coscienza. D’altra parte, persino il fatto di volersi accostare all’Eucaristia, ci chiede (anzi ci obbliga) a perdonare “prima” al nostro fratello. Indubbiamente si tratta di una “conditio sine qua non” da rispettare. Non si può accedere al sacramento dell’amore con l’odio nel cuore, quanto meno senza aver tentato prima di riconciliarsi con i propri fratelli, di sangue o di fede.
DUE O TRE RIUNITI. “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” Abbiamo sentito ricordare queste parole da parte di tanti giovani che, intervistati a Colonia, dicevano: “Siamo qui perché essendo in molti, sappiamo che Gesù è in mezzo a noi”. Secondo il Vangelo se “due o tre si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli, la accorderà”. Il che indica la forza e l’efficacia della preghiera comunitaria, una preghiera che si presenta al Padre, ricca dell’unità a della carità.
Come ha scritto un esegeta: “Una comunità riconciliata e orante è il luogo della definitiva presenza di Dio, rivelatosi come salvatore e Signore in Gesù”. Egli ci convoca, come suo popolo, come assemblea santa, in modo tutto particolare la domenica, nel giorno del Signore, quando l’Eucaristia è al centro della nostra preghiera. Allora, noi cristiani, siamo le stesse membra di Cristo, riunite con il loro Capo per rinnovare il suo sacrificio della Croce. La nostra supplica al Padre è unita a quella del Figlio, anzi un’unica preghiera “a lui gradita”.
Carlo Caviglione