Domenica 31 luglio 2005

Isaia 55,1-3; Romani 8,35.37-39; Matteo 14,13-21   Il grave problema della fame è, ancora oggi, all’ordine del giorno. Ne hanno parlato al G8 i grandi del mondo, senza giungere a concrete conclusioni. Esiste ancora una disparità assurda tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Una forbice, diceva Paolo VI, che tende sempre più ad allargarsi.   SENTÌ COMPASSIONE. Di fronte a una folla che lo seguiva da giorni, stanca e affaticata, il Vangelo dice che Gesù “sentì una grande compassione per loro” e guarì i loro ammalati. Quella di Gesù è una compassione vera e profonda, soprattutto attiva, non solo di parole ma di fatti concreti.
Guarisce i loro ammalati. È un atteggiamento che si trova spesso nel Vangelo: la sua compassione, secondo il termine derivato dal latino “patire con”, prendere parte della sofferenza altrui, facendola propria. San Paolo ritornerà su questo atteggiamento di Gesù, per proporre a ogni cristiano “di piangere con chi piange”, un comportamento di profonda condivisione. Ciò che solitamente non avviene nella vita di tutti i giorni. Prevale il detto, tanto egoistico “Ognuno per sé e Dio per tutti”. Certo Dio è sempre per tutti, possiamo starne sicuri, ma non ci ha insegnato certo a vivere per noi stessi. Ha detto anzi: “Chi amerà la propria vita la perderà”. L’amore non l’egoismo dovrà essere il programma di vita del cristiano. Amore e partecipazione, sapendo che ogni uomo – di qualsiasi razza o nazione – è nostro fratello.   UN PANE PER TUTTI. Quando poi si fece tardi e venne la sera. I discepoli si accostarono a Gesù perché congedasse la folla, in modo da poter andare nei villaggi vicini a comprare da mangiare. La risposta deve aver stordito quei poveri discepoli, che credevano d’aver fatto la proposta più logica del mondo. Gesù rispose: “Non occorre che vadano: date loro voi stessi da mangiare”. Non abbiamo che cinque pani e due pesci, risposero. Una scarsa merenda che neppure bastava per loro! Eppure era partito quell’imperativo, di una chiarezza solare: “Date voi da mangiare”. Per soccorrere il nostro prossimo, che ha fame, il primo aiuto tocca a noi!
Non dobbiamo andare subito a cercare gli altri, le parrocchie, i conventi o le istituzioni. La carità possibile non è delegabile ed è il primo dovere del cristiano. Viene persino prima della Messa e dell’Eucaristia, che della carità sono l’espressione liturgica più eccelsa. Bisogna che il primo gesto di carità parta da noi, provenendo dal profondo del cuore (con passione) e coinvolgendo poi anche gli altri. Gesù ha voluto i cinque pani e i due pesci dei discepoli perché anche loro fossero partecipi e collaboratori con il gesto di carità, inteso a sfamare cinquemila uomini “senza contare le donne e i bambini”.   SPEZZÒ I PANI. Chiunque legga o ascolti questa pagina dal Vangelo di Matteo, potrà accorgersi facilmente che alcune parole, dette da Gesù, prima di sfamare la folla, si ripetono nell’Ultima cena. Si dice infatti che Gesù “pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli”. I primi cristiani chiamavano l’Eucaristia, la Messa per noi, “fractio panis”, ossia lo spezzare il pane. Ciò che ogni sacerdote continua a fare nella celebrazione eucaristica. Gesù ha voluto forse in qualche modo anticipare quel mistero? Può darsi, per far intendere che chi moltiplicava i pani e i pesci, poteva anche far sì che il pane diventasse il suo Corpo e il vino, il suo Sangue.
Avrebbe anche detto in un’altra occasione che “non di solo pane vive l’uomo”. Chi aveva dimostrato, per compassione, di poter sfamare le folle, era venuto però a distribuire quella parola di Dio che è cibo dell’anima e della mente. In un tempo come il nostro, in cui il benessere materiale è abbastanza diffuso, è venuto a mancare per molti l’alimento spirituale. Come ha ricordato Benedetto XVI ai pellegrini, che sono andati da lui in Val d’Aosta, anche le vacanze “sono giorni nei quali ci si può dedicare più a lungo alla preghiera, alla lettura e alla meditazione sui significati profondi della vita, nel contesto sereno della propria famiglia e dei propri cari”. Oltre all’Eucaristia, questo è l’alimento spirituale del cristiano, che dovrebbe essere quasi quotidiano: preghiera, lettura della parola di Dio e meditazione. Se non vogliamo perdere la nostra identità o, peggio, smarrire il nostro rapporto con Dio.   Carlo Caviglione