Zaccaria 9,9-10; Romani 8,9.11-15; Matteo 11,25-30 Quali sono le persone che contano di più nel mondo, secondo la nostra cultura e mentalità? Certamente quelle che hanno raggiunto posizioni di prestigio per cultura e autorità. Gli uomini e le donne che per diversi motivi riempiono di sé le cronache dei giornali. Non contano invece gli umili e i poveri, gli ignoranti e gli emarginati, che sono ancora milioni. DAVANTI A DIO. Quelli che contano invece davanti a Dio sono “i piccoli”, ai quali, secondo le parole di Gesù, il Padre ha voluto rivelare “le sue cose”. Non ai sapienti e agli intelligenti, o ritenuti tali, ma a coloro che non hanno cultura e notorietà. Gesù esprime questa sua valutazione in forma di preghiera: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te”. È una delle poche volte che il Vangelo ci riferisce, in forma diretta, una preghiera di Gesù. È una preghiera di lode e di compiacimento per l’agire del Padre, cui si conforma sempre la volontà del Figlio. Ci fa anche conoscere uno degli aspetti particolari delle preferenze di Dio, anche se per lui non ci sono differenze di persone. Tuttavia, Dio guarda ai poveri e ai sofferenti. Gli altri hanno già dalla vita le loro consolazioni. È giusto che Dio pareggi il conto con coloro che non hanno la stessa fortuna. Spesso la storia della Chiesa è punteggiata da queste realtà: molte persone umili e semplici hanno avuto il dono di penetrare meglio i misteri della vita divina. CONOSCERE PADRE E FIGLIO. La conoscenza di Dio non è una conquista della scienza e neppure della filosofia. Non può essere raggiunta dalla sola intelligenza umana, che Dio non disprezza, poiché ce l’ha donata, ma con tutti i limiti che ci sono noti. Per giungere alla conoscenza di Dio, per quanto limitata alle nostre capacità, occorre mettersi all’ascolto del Figlio, Gesù, l’unico al quale il Padre si è rivelato dall’eternità. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. L’espressione, tuttavia, non intende affermare nessuna esclusione, poiché tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza attraverso la conoscenza della verità, che è Dio stesso. Ciò che invece è richiesto al credente è un atteggiamento di umiltà e di vivo desiderio di accogliere la conoscenza della verità che viene da Dio, attraverso la parola e quel dialogo interpersonale che è la preghiera, senza la quale il cristiano non può vivere. Un dialogo che dovrà essere quotidiano, per attingere ogni giorno alla sorgente l’acqua che zampilla per la vita eterna. IO VI RISTORERÒ. L’ultima parte del brano evangelico si chiude con un invito di Gesù, molto accorato: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Si potrebbe dire che, in realtà, nessuno si può sentire escluso da questo invito. Nella vita di oggi, chi non si sente affaticato e oppresso? Dalla fatica, dal lavoro, dal ritmo travolgente, dalle preoccupazioni per la famiglia. Per molti le difficoltà economiche che sono accresciute. Abbiamo tutti bisogno di un po’ di ristoro, fisico e spirituale. Rischiamo di essere travolti da troppe difficoltà, che ci rendono la vita difficile, talvolta quasi insopportabile. Gesù non si propone come il toccasana, come colui che vuol toglierci dai guai. Anzi ci esorta a portare la nostra croce dietro di lui. Ma intende elevare il nostro sguardo a una visione più grande, quella dello spirito, che non si abbatte nelle difficoltà. La visione di una vita che non è soltanto terrena. Egli ci invita a “guardare oltre” e a imparare da lui “mite e umile di cuore”, in modo da “trovare ristoro per le nostre anime”. Il dono cioè di quella pace interiore che aiuta a superare ogni difficoltà. Carlo Caviglione