Deuteronomio 8,2-3.14a-16b; Corinzi 10,16-17; Giovanni 6, 51-58
Per la prima volta, dall’inizio del suo pontificato, Benedetto XVI si allontanerà da Roma per recarsi a Bari per concludere la Settimana eucaristica nazionale. Per rendere omaggio all’Eucaristia, celebrata da tutti i cattolici nella festa tradizionale del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Era, in passato, una delle celebrazioni cristiane tra le più sentite e gioiose, poiché tutte le strade dove passava l’Eucaristia si adornavano di drappi e di fiori. Tempi passati, purtroppo, di fede genuina e semplice, fede nella presenza eucaristica del Signore. IL CORPO E IL SANGUE. Quasi tutti sanno che Gesù è morto sulla croce. Non tutti credono però che egli continui ad offrirsi al Padre per noi, come un giorno sul patibolo. Eppure i credenti sono sicuri di questa verità. Quando la domenica, i cattolici si riuniscono in chiesa per la Messa, ritengono di essere ai piedi del Calvario e di assistere veramente al rinnovarsi della passione. Il Corpo e il Sangue di Cristo, offerti al Padre, diventano nello stesso tempo elemento di vita e di comunione. Si riuniscono “nel giorno del Signore”. Per questo i primi cristiani dicevano agli altri “Non possiamo vivere senza la domenica”. Le parole che sono state assunte come programmatiche al Congresso di Bari. Sono ancora vere per i battezzati del nostro tempo? O forse il Corpo e il Sangue di Cristo sono oggi dimenticati? È sempre consolante e soddisfacente vedere la domenica piazza San Pietro gremita da migliaia di fedeli. Non dobbiamo però illuderci dimenticando decine di chiese, di città e di periferia, quasi deserte nel giorno festivo oppure con qualche decina di fedeli, quasi tutti anziani. E i giovani dove sono? Per loro è un giorno di festa, ma non di fede. Ci sono sì le eccezioni, ma la crisi è ancora profonda, la crisi del giorno del Signore. VITA E RISURREZIONE. Già nell’antico Testamento si erano udite le parole che Gesù rivolgerà poi al tentatore: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Ora però Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, usa un linguaggio nuovo, che ha dell’incredibile e, di fatto, non viene creduto. Non promette solo di alimentare il popolo con la sua parola, ma anche con il suo corpo e il suo sangue. Dice testualmente: “Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Parole di una novità assoluta, che non hanno riscontro in nessun’altra religione. Un pane che dà la vita, quella eterna e la risurrezione. Mangiarne è la “conditio sine qua non” per raggiungere i beni promessi. Gesù non dice ai suoi ascoltatori: “Chi mangia avrà la vita eterna”, la futura. Ma coniuga il verbo al presente e dice: ha la vita eterna. Da oggi, a cominciare da questa vita terrena e sarà il pegno della risurrezione. L’Eucaristia segna quindi una partecipazione totale alla vita di Dio stesso, quella eterna. Non basta ascoltare la sua parola, bisogna anche nutrirsi di Dio stesso. È lui che si è fatto, in senso spirituale, il nostro pane quotidiano, per una vita che non perisce. IN DUPLICE COMUNIONE. Già i primi cristiani ritenevano che l’assemblea eucaristica festiva fosse il riunirsi insieme delle membra sparse di Cristo. Di fatto ogni battezzato è un membro vivo dell’unico Corpo di Cristo. Nella celebrazione eucaristica avviene così una duplice comunione dei fedeli: quella con Cristo e con i propri fratelli. Una comunione che viene poi espressa con il darsi “un gesto di pace”. Che diventa un segno molto impegnativo, se non è puramente formale, poiché indica la più stretta unione tra i fedeli. Dalla comunione eucaristica proviene ogni genere di carità, in particolare verso i bisognosi. La Chiesa ha sempre indicato i tre momenti inseparabili della vita cristiana: l’ascolto della Parola, la liturgia e la preghiera, che confluiscono poi insieme nella carità. Senza quest’ultima, che è la testimonianza delle opere, anche le prime due restano vuote di senso. La Messa che va continuata dopo la Messa liturgica è quella della carità, che è sempre la più grande delle virtù cristiane. Carlo Caviglione