Esodo 34,4b-6.8-9; C Corinzi 13, 11,13; Giovanni 3,16-18 L’umanità che cosa avrebbe potuto sapere di Dio, della sua vita intima se lui stesso non si fosse rivelato? La storia di un popolo, Israele, ci fa conoscere i tempi e i contenuti di un dialogo, quello di Dio con il suo popolo, che viene a concludersi con la venuta in terra dello stesso Figlio di Dio. NEI CIELI E SULLA TERRA. Quando Dio vuole indicare la sua esistenza e presenza, usa questa espressione, rivolta ad Israele: “Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio, lassù nei cieli e quaggiù sulla terra, e non ve n’è altro”. Dio si manifesta come presente nell’universo da lui creato, cielo e terra. La sua non è però una presenza oppressiva, ma liberatrice, sin da principio, cominciando dalla fuga dall’Egitto. Tutte le gesta di Dio sono di salvezza e di amore per il suo popolo. Appare così il vero volto del “Signore nostro Dio”. Egli interviene nella storia per il bene dell’uomo. Si tratta di interventi concreti, non solo teorici. Tutta la Sacra Scrittura, anche nell’Antico Testamento testimonia quest’amorevole condotta di Dio, la concretezza dei suoi interventi e della sua azione. Il che richiede da noi non una risposta teorica, ma un’adesione che metta in gioco tutta la nostra esistenza. Infatti, se Dio si presenta attraverso il suo intervento nella storia, anche la nostra risposta di fede esige un impegno vitale, che possa dar senso alla verità in cui crediamo. UNO SPIRITO DA FIGLI. Quale genere di rapporto è quello che unisce i credenti alla vita stessa di Dio? Ce lo fa conoscere San Paolo nella sua lettera ai Corinzi: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito, costoro sono figli di Dio”, in tal modo possiamo chiamare Dio con il nome di Padre. L’apostolo poi aggiunge: “State lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio della pace e dell’amore sarà con voi” In forza della loro fede nel Dio della pace e dell’amore, i cristiani sono chiamati a compiere nel mondo una grande missione, quella come ha ricordato Benedetto XVI nel giorno di Pentecoste di abbattere ogni genere di divisione tra gli uomini, perché si uniscano nella pace tutte le nazioni. Dio si è rivelato a noi nella sua vita intima come Dio di amore. Facendoci suoi figli ha instaurato con noi un rapporto filiale, vero e profondo. I cristiani sono chiamati dunque a portare nel mondo questo spirito di comunione e di fraternità, senza distinzione di razza o di nazione. PERCHE’ IL MONDO SI SALVI. Quante volte ci saremo fatti questa domanda: ma perché Dio ha voluto mandare il suo unico Figlio sulla terra, sapendo che sarebbe stato vittima dell’ingiustizia e della violenza? Gesù stesso ha dato una risposta, dicendo nel suo dialogo con Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. In questo sta l’amore, ha scritto San Giovanni, “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi, ed ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Queste parole non bastano per noi. Non giungono a spiegarci un mistero che resta tale: perché Dio abbia voluto fare tutto questo per ciascuno di noi. Come abbia avuto a cuore la nostra sorte, facendoci partecipi della sua stessa vita, quella eterna. Il credente ha dinanzi a sé questa prospettiva, che gli dona forza e speranza in ogni difficoltà. CARLO CAVIGLIONE