Isaia 40,1-5.9-11; 2Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8 Il Vangelo di Marco, il più antico, si apre con la presentazione di Giovanni il Battista. Presenta il Precursore come “una voce che grida nel deserto”.
Forse il mondo di oggi, con miliardi di uomini, è ancora quel deserto, dove la Voce non viene ascoltata. PREPARATE LA STRADA. Per suo Figlio, che doveva venire nel mondo, Dio prepara il popolo di Israele, attraverso la predicazione poco fortunata dei profeti. Giovanni, ultimo della serie, continua e conclude questa preparazione, perché il Cristo trovi “un popolo ben disposto”.
Sappiamo che tutto ciò non è bastato, non per l’inerzia dei profeti, ma per la non corrispondenza di Israele, almeno di quello ufficiale e più rappresentativo. Ciò nulla toglie alla necessità di quella preparazione che, potremmo chiamare oggi, educazione alla fede.
Benedetto XVI, tornando a parlare dei documenti del Concilio, ha ripreso il tema dell’educazione cristiana, specialmente dei giovani, dicendo che si tratta di un compito gravissimo.
“Da sempre la Chiesa è impegnata nell’educazione della gioventù, alla quale il Concilio riconobbe un’estrema importanza, sia per la sorte dell’uomo che per il progresso sociale. Anche oggi, nell’epoca della comunicazione globale, la Comunità ecclesiale avverte tutta l’importanza di un sistema educativo che rispetti il primato dell’uomo come persona, aperta alla verità e al bene” (Angelus, 30 ottobre 2005). UN BATTESIMO DI CONVERSIONE. Giovanni non metteva soltanto la voce a servizio del suo annuncio. Egli compiva anche un gesto significativo: il battesimo di conversione. Non si trattava ancora di quel battesimo che Gesù avrebbe istituito per fare di noi “i figli di Dio”.
Quello di Giovanni era però un battesimo di conversione, dato a chi, pentito, “confessava i suoi peccati”. Quel gesto esprimeva cioè l’intenzione di “cambiare vita”. Giovanni diceva: “Raddrizzate i suoi sentieri”.
Dio non può camminare verso di noi, se gli frapponiamo gli ostacoli del nostro egoismo, se non gli apriamo il cuore, con sentimenti di amore. Egli, come ha scritto l’apostolo “ci ha amati per primo”, ma deve trovare poi in noi lo stesso sentimento. Ciò esige appunto la conversione del cuore, la seria volontà di accogliere il Vangelo, che cambia la nostra vita. VESTITO DI PELI DI CAMMELLO. Si dice, e giustamente, in proverbio che “l’abito non fa il monaco”. Tuttavia, un certo modo di vestire può avere la sua importanza. Del Battista, Marco descrive così il suo abbigliamento “vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi”.
Ed aggiunge che quell’uomo austero “si cibava di locuste e di miele selvatico”. Vestito e cibo non erano certo dei più raffinati, ma erano proprio quei segni che colpivano gli ascoltatori. I quali saranno poi informati da Gesù, di non essere stati nel deserto a vedere “una canna agitata dal vento”.
Le folle vengono colpite dalla predicazione del Battista per la coerenza della parola con il suo comportamento di vita. Il modo di vestire e di mangiare aveva pure la sua importanza.
Come credere alle nostre belle parole e iniziative per i poveri del Terzo Mondo, se poi la nostra tavola è sempre bene imbandita e i vestiti sono quelli firmati? Se vogliamo essere credibili nella carità, non potremmo cominciare con qualche rinuncia sui nostri guadagni? E a Natale non potremmo fare qualche spesa di meno, per un’offerta alla Caritas o ai missionari?
Carlo Caviglione