Proverbi 31,10-13. 19-20.30-31; 1Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30 Un anno fa i sacerdoti della diocesi di Roma chiesero a Giovanni Paolo II se conosceva qualche frase in romanesco. Rispose con perfetto accento: “Damose da fa'”. L’esortazione potrebbe “dare senso” al Vangelo di questa domenica, la parabola dei talenti, dove siamo invitati a fare fruttificare con impegno i doni che abbiamo ricevuto, tanti o pochi che siano. UN DONO PER TUTTI. Partendo per un viaggio, un uomo consegnò i suoi beni ai servi, dando a chi cinque, a chi due e a chi un talento. Si trattava di somme cospicue da far fruttificare, secondo le proprie capacità.
I servi non li avevano né meritati né guadagnati. Anche se in quantità diversa, tutti li avevano ricevuti in dono. Come avviene nella vita cristiana.
Non si parte da zero per seguire Cristo, ma con i doni che ci ha elargiti, senza nostro merito, a cominciare dal Battesimo, che ci fa partecipi della stessa vita divina. Nella fede, nessuno si è fatto da sé.
Tutti abbiamo bisogno di doni che vengono dall’alto, anche se di questi doni preziosi noi dobbiamo tenere conto e farli fruttificare. BLOCCATO DALLA PAURA. I servi che hanno beneficiato dei cinque e due talenti, nel periodo di assenza del padrone, si sono considerati proprietari di quei beni e “si sono dati da fare” per farli fruttificare.
Il terzo, invece, quello di un solo talento, pensò di dover restituire al padrone quanto gli era stato affidato, considerando che non era roba sua, ma che il padrone gliela avrebbe richiesta. Per paura si guardò bene di rischiare. Non è riuscito a credere alla totale fiducia che il padrone aveva riposto in lui.
Il dono si è tradotto in lui in un oggetto imbarazzante, anzi motivo di paura. Al ritorno del padrone si becca i suoi rimproveri, proprio perché la paura aveva finito per paralizzare ogni possibile attività.
Il Signore non vuole essere servito per paura, ma per amore. I doni che ci ha dato da trafficare, pur restando suoi, devono trovare in noi la volontà di migliorarli e di farli giungere alla perfezione. I SERVI ELOGIATI. Gli altri due servi, il primo e il secondo, che lavorando hanno raddoppiato i doni ricevuti, vengono elogiati dal padrone, che li ricompensa. Hanno risposto alle sue attese.
In altre parole, il primo dono, fatto al credente, è la sua fede. Il talento più prezioso, che non deve nascondere né tenere per sé ma farlo conoscere con le parole e la coerenza della vita.
Nelle sue recenti esortazioni, Benedetto XVI ha proprio insistito su questo aspetto della vita cristiana, dicendo più volte che la fede non è da conservare nell’intimo della coscienza, ma deve essere proclamata e testimoniata nella vita di ogni giorno, assumendo impegni per la famiglia e la società.
Non solo, la fede ha bisogno di essere trasmessa alle nuove generazioni e ai popoli ai quali non è giunto ancora l’annuncio del Vangelo. Questi popoli, come masse scristianizzate, sono oggi anche tra noi, nella nostra vecchia Europa.
Dobbiamo tutti assumerci l’impegno di far crescere la nostra fede, di renderla più robusta e più forte, adulta per essere testimoniata e diffusa.
Carlo Caviglione