
Oggi, 13 marzo 2025, la Chiesa universale celebra il dodicesimo anniversario dell’elezione di Papa Francesco al soglio di Pietro. Era il 2013 quando Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, si affacciò dalla loggia di San Pietro con un semplice “Buonasera”, inaugurando un pontificato che ha scosso le fondamenta di una Chiesa chiamata a riscoprire la sua missione evangelica. In questi anni, il Papa venuto “dalla fine del mondo” ha guidato il popolo di Dio con uno stile umile, diretto e radicato nel Vangelo, offrendo una testimonianza che parla tanto ai fedeli quanto a un mondo spesso smarrito. Ripercorrendo le tappe salienti del suo ministero, emerge un disegno chiaro. Con “Evangelii gaudium” (2013), Francesco ha tracciato la rotta: una Chiesa in uscita, capace di sporcarsi le mani per raggiungere gli ultimi. L’Anno Santo della Misericordia (2015-2016) ha incarnato questa visione, con le Porte Sante aperte non solo nelle basiliche, ma nei luoghi di dolore – carceri, ospedali, periferie – a ricordare che il volto di Cristo si incontra nei più fragili. “Laudato si’” (2015) ha unito fede e responsabilità per il creato, richiamando l’umanità a custodire la casa comune come dono di Dio, mentre “Amoris laetitia” (2016) ha aperto spiragli di dialogo e accoglienza pastorale per le famiglie ferite, segno di una Chiesa che non giudica ma accompagna. Tra i momenti centrali, non si può omettere l’Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, avviata nel 2021 e culminata nelle sessioni del 2023 e 2024: un processo rivoluzionario che Francesco ha voluto per ridisegnare il volto della Chiesa futura, rendendola più partecipativa, in ascolto reciproco e aperta allo Spirito, un elemento ormai imprescindibile per il suo rinnovamento.
Tra i gesti profetici, spiccano il viaggio a Lampedusa nel 2013, primo atto del pontificato e denuncia del dramma dei migranti, e l’incontro con il patriarca Kirill a Cuba nel 2016, che ha riacceso la speranza di un’unità tra le Chiese cristiane.
Durante la pandemia, la preghiera solitaria in piazza San Pietro il 27 marzo 2020 è diventata icona di una fede che non si arrende, ma si fa solidale con l’umanità sofferente. E ancora, i viaggi apostolici in terre difficili – Iraq, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo – hanno portato il Vangelo là dove la pace è un sogno lontano, mostrando un Papa che non si tira indietro, neanche quando il corpo fatica a seguirlo. In questo dodicesimo anniversario, però, un aspetto si impone con forza: la salute di Francesco. Le immagini del Papa in sedia a rotelle, i momenti in cui la voce si spezza o il passo si fa incerto, non sono un’ombra sul suo pontificato, ma una luce che illumina la vocazione cristiana. La sofferenza, che Francesco vive con serenità e dignità, non è una sconfitta, ma il cuore stesso del mistero della Croce. Come ricorda san Paolo, “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10): nella fragilità, il Papa testimonia che la vera potenza è quella dell’amore che si dona, non dell’autosufficienza.
La sua condizione fisica lo rende immagine viva del Cristo sofferente, che non ha evitato la croce ma l’ha abbracciata per redimere il mondo.
Questa prospettiva teologica non è astratta: è un richiamo per ogni credente. In un’epoca che idolatra la giovinezza e l’efficienza, Francesco ci insegna che la sofferenza, lungi dall’essere un ostacolo, è una via di santificazione. La sua perseveranza nel guidare la Chiesa – preparando il Giubileo del 2025, portando a compimento il Sinodo sulla sinodalità – dimostra che la missione non si ferma davanti ai limiti umani, ma si nutre della grazia divina. La sua fragilità diventa così una catechesi silenziosa: Dio non sceglie i perfetti, ma i disponibili, e nella debolezza si manifesta la sua forza. Dal punto di vista pastorale, il pontificato di Francesco ci sfida a ripensare il nostro approccio alla sofferenza. Quante volte, come Chiesa, siamo tentati di nasconderla, di relegarla ai margini? Francesco, invece, la pone al centro, non come rassegnazione, ma come luogo teologico dove Dio si rivela. È un invito a guardare i malati, gli anziani, i sofferenti non come “problemi” da risolvere, ma come fratelli da amare, portatori di una grazia speciale. La sua insistenza sulla misericordia trova qui la sua radice più profonda: non c’è misericordia senza condivisione, e non c’è condivisione senza passare attraverso la croce. Dodici anni dopo quella sera di marzo, Papa Francesco continua a essere un dono per la Chiesa. Ha riformato strutture, aperto dialoghi, indicato strade nuove – come quella sinodale, che proietta la Chiesa verso un futuro di comunione e missione – ma soprattutto ci ha ricordato che il cristianesimo non è una teoria, bensì una vita vissuta, anche nella fatica e nel dolore. La sua salute fragile non è un epilogo, ma un capitolo vivo del suo magistero, un richiamo alla speranza che nasce dalla Pasqua. Con lui, la Chiesa cammina come un popolo pellegrino, non trionfante ma fedele, sorretto dalla promessa di colui che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Ad multos annos, Santo Padre!