Giubileo nel mondo: padre Camerlengo in Costa d’Avorio. Piccole comunità di grande fede

Pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra, come spiega padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata, parlando del suo impegno tra villaggi lontani nel Nord della Costa d’Avorio. “La speranza – afferma a 'Popoli e Missione' – è prima di tutto presenza”

(Foto Stefano Camerlengo)

Ha 68 anni padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata a Dianra, in Costa d’Avorio, ma la sua sembra una vita lunghissima, tanto è stata intensa. Ordinato sacerdote nel 1984 nella Repubblica Democratica del Congo, allora Zaire, ci è rimasto per 18 anni; poi, per nove ha svolto animazione missionaria in Italia, prima a Galatina e successivamente a Bevera. A seguire, nel 2011, è stato eletto Superiore generale dell’Istituto dei Missionari della Consolata e, nel 2017, riconfermato fino al 2023. “E dopo 40 anni di sacerdozio, ti chiedi cosa fare ancora, come missionario”. Per lui, la risposta più logica è stata partire. “Girare il mondo, durante il mio incarico nella congregazione, è stata un’esperienza unica, perché ogni posto diventa casa tua” ammette padre Stefano. “Ma la cosa che più mi è mancata in questi anni è la continuità delle relazioni, la quotidianità con un gruppo con cui condividere la missione, con cui crescere e diventare famiglia”. Oggi, quel desiderio sembra realtà. Dalla diocesi di Odienné, infatti, la sua voce al telefono è carica di entusiasmo.

(Foto S. C.)

Una fede dai gesti concreti. “Mi sono reso disponibile e sono stato mandato qui, a Nord della Costa d’Avorio”, spiega. Un territorio grande come le Marche – la sua regione d’origine – con due parrocchie che comprendono 20-25 villaggi ciascuna. Con lui, fin dall’inizio, c’era anche padre Matteo Pettinari, morto in un incidente stradale il 18 aprile 2024: “Un missionario infaticabile, il più giovane italiano del nostro Istituto”. Ora lo affianca un sacerdote ugandese. “è una zona prevalentemente musulmana (il 93%), dove la convivenza è pacifica. I cristiani sono il 3% della popolazione: significa che tu arrivi in un posto dopo più di un’ora di strada e hai tre fedeli in chiesa. È tuttavia interessante essere in minoranza, anche perché la speranza è prima di tutto presenza, far sentire che ci sei. Tu vai ad alimentare una fede con i pochi che ci sono, e lo fai con gesti concreti”. Per esempio, nella missione di Dianra, essendo carente l’aspetto sanitario, è stato realizzato un piccolo ospedale, che è un punto di riferimento per tutti, con campagne di prevenzione, visite nei villaggi, vaccinazioni. O, ancora, sono stati avviati progetti di scolarizzazione, principalmente rivolti a bambini e a ragazze, che sono le categorie meno rispettate.

(Foto S. C.)

Le donne rappresentano la speranza. “è incredibile come le donne, la cui dignità non è assolutamente riconosciuta, siano poi quelle che danno veramente speranza alla famiglia, alla comunità e al Paese. Lavorano nel silenzio, ma il loro messaggio arriva a tutti: sono il futuro dell’Africa”. È nell’accompagnare queste situazioni che si realizza il suo essere “pellegrino di speranza”. “Lo sento quando mi accolgono in un Paese che non è il mio o capitano segnali forti che ti toccano dentro e ti cambiano. Me ne accorgo davanti alla meraviglia del cuore della gente, e ogni volta che vedo qualcosa di grande in mezzo a tanta povertà e polvere, in un angolo della Terra dimenticato da tutti”. Per il missionario, già solo una messa è un’iniezione di speranza: “Celebrare è ciò che dà senso alla mia vocazione”. E anche nei giorni feriali, quando i suoi parrocchiani vanno a lavorare nei campi fuori dal villaggio (divenendo anch’essi pellegrini), gli bastano pochi e semplici incontri, un grazie, un sorriso, per “ripartire e fare fronte alle difficoltà. Perché la speranza ricomincia sempre. Perché pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra; è chi lascia gli spazi delle proprie comodità per camminare con Lui verso luoghi sconosciuti e vivere legami significativi”.

Il senso del Giubileo. È, in fondo, il senso di ogni Giubileo, per noi e per la Chiesa essere “l’occasione per un cambiamento vero, la forza dirompente capace di aprire la porta della fede e dell’accoglienza, superando la tentazione di ritirarsi nella propria piccola vita”. Tempi difficili per la speranza, ma il sogno di padre Stefano è quello di “poter dare una mano per costruire una solida comunità cristiana, attenta ai bisogni degli altri”. E intanto fa sue le parole di san Riccardo: “Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia. Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario”.

(*) Popoli e Missione

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