“Prendersi cura – una famiglia per ogni comunità”: è il nome dell’opera-segno lanciata, in vista del Grande Giubileo del 2025, nel corso dell’incontro svoltosi a Palermo (8-10 novembre), “Non c’è pace senza accoglienza” promosso dal Centro di accoglienza Padre Nostro, dal progetto della Cei “Consiglio dei Giovani del Mediterraneo”, dalla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia e dalla Rete Mare Nostrum con il patrocinio dell’Assemblea regionale siciliana. “Si tratta di una proposta libera, semplice ed efficace per la quale le varie Conferenze episcopali, Sinodi, parrocchie e realtà ecclesiali, e non, potranno ‘prendersi cura’ di famiglie, persone e situazioni di povertà e criticità che purtroppo numerose ci interpellano e ci chiedono di agire” spiega al Sir Tina Hamalaya, giovane libanese che lavora per la Fondazione Giovanni Paolo II animando la segreteria del “Consiglio dei Giovani del Mediterraneo”, formato da 34 giovani provenienti da Italia, Francia, Spagna, Slovenia, Croazia, Albania, Bosnia, Montenegro, Grecia, Cipro, Malta, Turchia, Iraq, Siria, Libano, Terra Santa, Egitto, Algeria e Tunisia. Il Cgm è a sua volta l’“opera-segno” di “Mediterraneo di Pace”, l’incontro dei Vescovi del Mediterraneo, radunatisi a Firenze dal 23 al 27 febbraio 2022.
Qual è il significato di questo progetto che avete lanciato il mese scorso a Palermo? Come nasce?
Il progetto “Prendersi cura – Una famiglia per ogni comunità” nasce come opera-segno del Consiglio dei Giovani del Mediterraneo (Cgm), proprio nel 2024, l’anno in cui celebriamo 800 anni delle Stimmate di San Francesco “Dalle Ferite una Nuova Vita”. Questo legame con la spiritualità francescana è ancora più evidente se pensiamo alla preghiera di San Francesco: “Dove c’è disperazione che io porti speranza”.
Il nostro progetto, dunque, si fonda su questo stesso spirito di speranza e cura, mirando a portare supporto e luce là dove ce n’è più bisogno, proponendosi di offrire un sostegno concreto e accoglienza alle persone che vivono situazioni di grave fragilità. In 3 parole: Osservare, Riflettere, Agire.
Chi sono i destinatari del progetto?
“Prendersi cura – Una famiglia per ogni comunità” si rivolge in modo particolare a emigranti, rifugiati, richiedenti asilo ed è anche aperto ad altre realtà in disagio: persone senza fissa dimora, famiglie vulnerabili dal punto di vista economico e sociale, madri in difficoltà, donne vittime di tratta e giovani in situazioni di vulnerabilità. Il progetto è per tutte quelle persone in condizioni di sofferenza e precarietà che, purtroppo, rappresentano una sfida crescente nella nostra società. L’iniziativa si concentra a tradurre la solidarietà in azioni concrete, costruendo ponti e legami di fiducia, offrendo alle persone più fragili l’opportunità di una nuova vita radicata nella dignità e sull’inclusione nella comunità.
Chi sono, invece, gli attuatori di questa opera-segno, chi è chiamato a renderla concreta?
Il progetto di accoglienza vede come potenziali attuatori le diocesi, le parrocchie, i conventi, le comunità religiose, le famiglie, i movimenti ecclesiali e altre forme di ‘consorzialità’ che si rendano disponibili. Tutti sono chiamati a diventare protagonisti di questa iniziativa. Il progetto si caratterizzerà per una durata temporanea, la quale sarà stabilita di volta in volta in base alle specifiche necessità di ogni singola situazione.
L’obiettivo primario sarà di favorire un’integrazione reale effettiva, con prospettive di autosufficienza ed autonomia in modo da consentire un pieno inserimento nella società e nella comunità.
In che modo il Cgm è coinvolto nel progetto? E cosa chiedete, con questa iniziativa, alle Chiese del Mediterraneo?
Il progetto è un’iniziativa del Cgm proposta alle singole Conferenze episcopali e Sinodi. Ogni realtà promotrice lo potrà considerare come opera-segno in occasione dell’anno giubilare tenendo in costante evidenza gli obiettivi da raggiungere. Il Cgm e la Rete Mare Nostrum rivolgono quindi alle varie Conferenze episcopali e ai Sinodi partecipanti, un invito a farsi promotori di proposte di accoglienza e supporto, come già detto, per famiglie e persone in difficoltà e a soggetti fragili, in particolare giovani. È anche opportuno che siano proprio le relazioni all’interno del Consiglio a generare proposte di solidarietà reciproca, attraverso l’attivazione di gemellaggi e iniziative mirate a sostenere le comunità più vulnerabili rappresentate nel Consiglio.
Come si inserisce questo progetto nel Giubileo e nel cammino giubilare delle Chiese?
I temi dell’accoglienza e del sostegno, così centrali nelle encicliche papali come la Laudato Sì e Fratelli Tutti, riflettono un insegnamento che sottolinea la responsabilità fraterna e l’importanza di aprirsi verso l’altro. In particolare, si fa riferimento all’Evangelii Gaudium, che profeticamente sottolinea come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano le differenze, facendo dell’integrazione un nuovo fattore di sviluppo.
Infatti, con il Giubileo 2025, l’obiettivo di Papa Francesco è promuovere un clima di speranza e fiducia come segno di rinnovamento tanto necessario quanto urgente per tutti noi.
Il progetto “Prendersi cura” quindi, trova la sua essenza nella solidarietà, nella condivisione e in quella profonda “immersione”, come la chiama Papa Francesco, nelle vite di chi soffre, per donare loro nuova forza e una nuova prospettiva.
In questo spirito, e in questo lago di Tiberiade (il Mediterraneo) pieno di spazi che uniscono le persone, i giovani del Consiglio e tutti i giovani del Mediterraneo, diventano i primi pellegrini di speranza del cammino giubilare creando relazioni che favoriscono il riconoscimento reciproco per costruire un futuro di solidarietà e pace.