Il Direttorio “Comunicazione e missione” compie 20 anni. Per ricordarlo e ricontestualizzarlo alla luce della contemporaneità, l’Istituto pastorale della Pontificia Università Lateranense, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, organizza oggi, 28 novembre, un seminario di studio. Questa iniziativa nasce con una prima consapevolezza: quella di aver smosso alcune corde della memoria. Il Direttorio non è stato un documento qualsiasi, ma si è configurato da subito come “luogo” fecondo di conoscenza, relazione, formazione e soprattutto di azione. Quell’azione che rimanda all’essenza autentica della pastorale:
favorire l’incontro degli uomini con la Parola, incarnandola in determinato contesto storico e socio-culturale.
L’altro aspetto rilevante di questo coinvolgimento memoriale fa riferimento alla seconda parola che compone il suo titolo ossia “missione”. Gesù ci chiama continuamente – si legge in Marco (16:15-20) – ad “andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura”, cioè ci affida un mandato che è essenzialmente comunicativo. Le risposte della Chiesa a questa chiamata sono molteplici e l’investimento sulla comunicazione lo dimostra ampiamente. Ma comunicare va oltre i documenti, gli strumenti e i ruoli, e si configura soprattutto come una disposizione personale e comunitaria a proclamare Cristo.
Il Direttorio lo evidenzia sin dal primo capitolo quando utilizza una serie di formule linguistiche che guardano nella stessa direzione: “media come crocevia del cambiamento” o come “portatori e plasmatori di una nuova cultura” sono espressioni che confermano l’intenzione originaria che ispirò la sua redazione: “Proporsi – lo scriveva nella presentazione l’allora presidente della Cei, card. Camillo Ruini – come un quadro strutturato dei contenuti e delle prospettive da cui partire per realizzare una pastorale che consideri le comunicazioni sociali non come un suo settore, ma come una sua dimensione essenziale”.
E di contenuti e prospettive il Direttorio è pieno, a partire dal (purtroppo disatteso) profilo dell’“animatore della cultura e della comunicazione”, una vera e propria “ministerialità” che, accanto a quelle riconosciute del catechista, dell’animatore della liturgia e della carità, potesse coordinare la pastorale culturale e comunicativa in diocesi, parrocchie e comunità religiose. L’identikit dell’animatore rimodulava il preesistente, emancipando la comunicazione ecclesiale da una visione troppo ancorata alla professione giornalistica o addirittura alla buona volontà, per ricollocarla in un orizzonte esteso in grado di abbracciare altre competenze come quelle educative, etiche, artistiche, teatrali e cinematografiche.
Leggere oggi il Direttorio risente, dunque, di questo patrimonio di idee, di prassi e disposizioni umane e spirituali, ma impone nuove lenti interpretative. La cultura mediale del presente riflette, infatti, i processi di digitalizzazione che, se da un lato fagocitano le tradizioni, dall’altro donano opportunità infinite. Come quella di non circoscrivere la comunicazione a una delle tante specificità ecclesiali, ma intenderla e viverla sempre più – nella sua declinazione digitale – come una grandezza costitutiva e trasversale dell’agire della Chiesa. L’auspicio è che incontri come quello in Lateranense inneschino piccole micce di cambiamento e conversione di mentalità perché – lo esprimeva con profezia già “Gaudium et spes” 60 anni fa –, per mezzo della sua stessa missione,
la Chiesa “cammina insieme con l’umanità tutta ed è destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio”.