Cammino sinodale. Mons. Cibotti (vescovi Abruzzo-Molise): “Laicato fondamentale per visuale più completa del mondo che ci circonda”

Il fervore del cammino sinodale che si sta vivendo nella Chiesa di Abruzzo e Molise alla vigilia della prima Assemblea sinodale in programma a Roma dal 15 al 17 novembre, raccontato da mons. Camillo Cibotti, vescovo di Isernia-Venafro e presidente della Ceam-Conferenza episcopale abruzzese molisana. Il laicato al centro di quello che viene definito il nuovo slancio della Chiesa, una vera e propria apertura alla società contemporanea attraverso la testimonianza di Cristo, portata da chi non è corretto chiudere nelle sacrestie perché capace di offrire una visuale completa del mondo. L’Anno Santo come stimolo aggiuntivo al nuovo modo di vivere la realtà ecclesiale con slancio missionario

Foto Calvarese/SIR

Come tutta la Chiesa italiana, anche quella di Abruzzo e Molise è interessata nel cammino sinodale che, prima dell’Assemblea sinodale prevista a Roma dal 15 al 17 novembre, ha visto succedersi le 3 fasi: narrativa, sapienziale e profetica. Facciamo il punto della situazione con mons. Camillo Cibotti, vescovo di Isernia-Venafro e presidente della Ceam-Conferenza episcopale abruzzese molisana.

(Foto diocesi Isernia-Venafro)

Anche noi in Abruzzo Molise abbiamo percorso queste fasi che sono importanti nell’itinerario sinodale. Abbiamo vissuto la fase narrativa con un fervore vero, specialmente del laicato; un po’ perplesso, guardingo il nostro clero. Poi nella fase sapienziale, ci siamo soffermati sia su quello che è stato l’ascolto e il racconto della vita delle persone che abbiamo visto, venuto appunto dalla fase narrativa iniziale, sia su quanto è emerso generalmente nelle varie realtà diocesane. Tutto questo lo abbiamo condiviso nell’ambito della regione ecclesiastica, però importavamo il noi e ci confrontavamo sui frutti, che queste fasi hanno prodotto nelle nostre realtà locali. Adesso questa fase finale profetica, che potremmo definire un boom auspicabile per i frutti, è inserita nel contesto dell’Anno Santo, per cui è tutto un sommarsi di eventi che stimolano la Chiesa universale. Ma al riguardo, la nostra Chiesa locale si sente anche investita di un nuovo modello, un nuovo modo di vivere questa nostra realtà ecclesiale. La cosa che subito abbiamo constatato tutti noi vescovi è che inserirsi in un nuovo stile, chiamiamolo metodo sinodale, è stato un po’ difficoltoso ma è stato anche creativo, perché ha stimolato tutte quelle energie e quelle facoltà che erano un po’ nascoste, ai margini delle nostre realtà diocesane. È stato bello lasciarsi condividere, lasciarsi condurre, forse è esagerato come termine, da questo laicato fervoroso che si è sentito rimesso in una dimensione battesimale, perché in forza del battesimo siamo tutti chiamati a dare una testimonianza cristiana. Per cui sentirsi interpellati, condividere, è anche stimolati a camminare, a darci supporto in questa dimensione di sinodalità, è stata una cosa bellissima. Quello che alla fine questo cammino ha messo in evidenza. è quanto già la Gaudium et spes, nel numero 4, aveva già espresso, “scrutare i segni dei tempi, interpretarli alla luce del Vangelo”, è vedere come l’azione dello Spirito Santo agisca dalla base, come ci ha ricordato spesso Papa Francesco. Come è la base stessa che si nutre di questa azione dello Spirito è straordinario, anche per noi vescovi è stata veramente una scoperta di grazia, e questo si è tramutato poi, anche per noi, in una fiducia ulteriore da stimolare anche nei nostri presbitèri. Perché

c’è sempre stata questa barriera tra il presbiterato e il laicato, come se fossero due forze contrastanti, e invece l’azione dello Spirito che è veramente grandiosa, in questo cammino sinodale ci ha fatto riscoprire che siamo tutti investiti di quel ruolo santo che scaturisce dal nostro battesimo.

Foto Calvarese/SIR

Questo non vorrebbe misconoscere i ruoli ministeriali nella Chiesa ma forse abbiamo ridotto il nostro laicato solo alle sacrestie e, in questo che è un momento storico particolare, il laicato ci potrebbe dare una visuale più completa del mondo che ci circonda. In questo contesto del sinodo della Chiesa italiana, si è inserito il sinodo dei vescovi, per cui il respiro è stato ulteriormente allargato. Lo Spirito Santo ci ha condotto a un orizzonte internazionale della Chiesa. I due ambiti, quello nazionale e quello internazionale del sinodo dei vescovi non sono in antitesi, sono complementari e ci hanno anche arricchiti. Penso che questa dimensione metodologica, fortemente voluta dal Papa, è importante perché in questo modo, seriamente, stiamo non solo favorendo, ma anche costruendo un rinnovamento della Chiesa e dell’evangelizzazione rispondente ai tempi, alle necessità e ai bisogni di questo nostro mondo e di questa nostra Chiesa locale. Perché non dimentichiamo l’Abruzzo e il Molise, che potrebbero sembrare essere le Cenerentole d’Italia, sono realtà anch’esse così complesse e anche così dinamiche che noi stessi, l’episcopato, ma anche il presbitèrio, abbiamo percepito questa ricchezza di cui adesso vogliamo farci non solo partecipi, ma notare questa ricchezza, cogliere questa ricchezza come una sorgente per un nuovo respiro nella nostra realtà locale e per dissetarci a questo stesso desiderio che il nostro laicato ci ha veramente mostrato in un modo esplicito, inconfondibile. Sono stati veramente momenti, e continuano ad essere momenti, in cui il laicato ci sta spronando. Poteva essere o sembrare che ci fossimo un po’ addormentati in questo tempo presente con tutta la precarietà che ci circonda, non ultime le situazioni di guerra in Ucraina, in Palestina, in Israele che diventano momenti che creano quasi un’enfasi esagerata su una negatività che sembra schiacciare il positivo. Ma è il nostro mandato, cioè il Vangelo che sorregge, supera, alimenta e addirittura dirada le tenebre di questa violenza con la luce di un amore fraterno, di una pace da costituire riconoscendo la dignità di tutte le persone, nonostante le diversità culturali e razziali. 

(Foto Vatican Media/SIR)

Prima Papa Francesco ha invitato la Chiesa ad essere in cammino con gioia, umiltà e creatività, aperta e inquieta delle inquietudini del nostro tempo, poi il card. Zuppi ha parlato di una Chiesa sinodale e missionaria più accogliente e aperta, com’è e come sarà la Chiesa abruzzese e molisana?

È una Chiesa in divenire, alcuni focolai sono presenti, ma la cosa bella è che quello che sembrava essere interessante per alcune frange delle nostre comunità diocesane, adesso sta diventando un dato comune. Nella nostra Chiesa di Abruzzo e Molise, avere uno stimolo a sottolineare la dignità e il riconoscimento della dignità comune che deriva dal battesimo, è stato un successo. Non perché prima non ci fosse, ma perché forse siamo stati condizionati da un ritualismo o da una sacramentalizzazione vuota in quanto solo per riconoscerci come identità locale o di parte, di settori. Invece la Chiesa, quella che sentiamo sempre di più come Chiesa proprio nelle fasi sinodali, è Chiesa dell’ascolto che vuole essere umile e che, come abbiamo riscoperto commuovendoci, desidera chiedere perdono ed ha molto da imparare anche da quella realtà che a volte abbiamo misconosciuta o messa ai margini. Questa Chiesa sinodale ci sta dando l’immagine bellissima ed evangelica di una Chiesa dell’incontro, del dialogo e che non ha paura della varietà di cui deve essere portatrice, senza provocare una sorta di stimolo all’uniformità, perché è bellissimo invece che ci siamo riconosciuti diversi ma legati ad un unico scopo: una Chiesa aperta, accogliente e che abbraccia tutti. Sembrerà strano che in Abruzzo dove siamo generalmente chiamati popolo forte e gentile, ma anche se lo slogan è prettamente abruzzese questo vale anche per il Molise, ci siano state difficoltà nell’accoglienza, anche nei confronti degli immigrati, ora al centro di una polemica politica per il loro dirottamento verso l’Albania. Ora mi sembra invece che la Chiesa locale stia vivendo una nuova primavera, dove viene sempre più stimolata a una ricerca e a un approfondimento del rapporto che deve esserci come dimensione ecclesiale tra amore e verità. E questa è pura evangelizzazione ed è puro segno di un progresso che, sembrerà quasi scontato, ma che è bello poter dire delle nostre realtà locali. Una citazione del card. Zuppi mi ha sempre affascinato, quando parla del Sinodo come un luogo per comprendere le urgenze, per sentire le sofferenze, per farci ferire dalle attese. Questo è sempre e solo per annunciare il Signore Gesù.

Questa nostra realtà locale, come tutta la realtà italiana, è in un vortice di conversione pastorale e missionaria che ci viene chiesta dalla nostra realtà di fede che è stata seminata. Il germe è stato piantato dal battesimo.

Ecco perché in un punto di questo itinerario, nei cantieri di Betania, ci siamo sentiti essere sempre di più una Chiesa missionaria, la comunità cristiana che si sente inviata. 

 

Foto Calvarese/SIR

Come far riscoprire il valore di battezzati in un momento nel quale le chiese sono sempre meno frequentate ed i cristiani sembrano essere più tiepidi nella società?

Riconoscendo quell’autorità missionaria che hanno ricevuto dal battesimo i laici. Come ci ha suggerito San Paolo VI a suo tempo, “il mondo non ha più bisogno di maestri, ma di testimoni”. Ecco perché proprio ieri sera in una riunione in diocesi dicevo a questi miei laici, a famiglie, uomini e donne, di non aver paura di annunciare Cristo. Mi ricordo anche quelle frasi bellissime, dette con una certa carica emotiva da San Giovanni Paolo II, “aprite le porte a Cristo, non abbiate paura di Cristo”. Questa dimensione i laici la sentono fortemente. Può darsi che si sono sentiti stimolati anche da questo ulteriore riconoscimento che li ha tirati fuori, mi permetta, dalle catacombe, ma sono adesso una forza penetrante. Pretendere da un presbitero, da un religioso, da una religiosa di parlare di Cristo è semplice, anzi è spontaneo, ma quando la nostra comunità locale, la società tutta composta non solo da credenti ma anche da non credenti, si sente investita non solo dalle parole ma dalla vita di laici, uomini, donne, professionisti, operai che parlano di Cristo con la loro vita, è la vera scoperta, è il vero nuovo slancio missionario di cui la Chiesa di Abruzzo e Molise, ma direi d’Italia, ha bisogno. 

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