Assemblea sinodale. Mons. Lovignana (vescovi Piemonte): “Cambiare il modo di vivere i rapporti all’interno della comunità”

"La grande e condivisa richiesta di cambiamento è quella che riguarda lo stile, il modo di vivere i rapporti all’interno della comunità a tutti i livelli, parrocchiale e diocesano, con particolare riguardo per la dimensione decisionale, sia pure nel rispetto dei ruoli ministeriali". Mons. Franco Lovignana, vescovo di Aosta e presidente della Conferenza episcopale piemontese, parla in vista della Prima assemblea del Cammino sinodale in programma a Roma dal 15 al 17 novembre

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Respirare la Chiesa”. Così mons. Franco Lovignana, vescovo di Aosta e presidente della Conferenza episcopale piemontese, descrive l’appuntamento che dal 15 al 17 novembre a Roma vedrà svolgersi la prima Assemblea sinodale. Iniziazione cristiana, dimensione sociale della fede, comunicazione e linguaggio, formazione di fedeli e clero alcuni dei temi che saranno portati in Assemblea.

Quali sono le attese della Conferenza episcopale piemontese?
Ovviamente siamo in grande attesa per un momento dall’alto valore ecclesiale, al di là dei temi che saranno trattati e degli orientamenti che verranno suggeriti in vista delle tappe successive. La bellezza e l’importanza dell’appuntamento consistono nel ritrovarsi insieme, pastori e fedeli, a parlare della vita delle nostre comunità, in ascolto dello Spirito che vuole guidare la Chiesa anche in questo tempo di fatica e di crisi. Personalmente mi piace collegare quanto andremo a vivere tra pochi giorni e poi ancora ad aprile, con l’esperienza fatta a Firenze nel 2015.

È un’esperienza che definirei così: respirare la Chiesa. Va detto che i percorsi del Cammino sinodale hanno interessato direttamente le diocesi più che le Conferenze episcopali regionali, proprio perché voleva essere un percorso dal basso e che desse la parola a tutte le componenti della Chiesa, con aperture anche verso l’esterno soprattutto nei primi due anni di ascolto.

Per questo motivo il Cammino sinodale ha preferito che le sintesi fossero diocesane e non regionali, proprio perché la ricchezza dell’incarnazione della fede in un territorio non venisse in qualche modo diluita. Credo che questa scelta sia stata giusta, perché la diocesi è Chiesa a tutti gli effetti, mentre la regione finisce per essere un’entità più sociologica e burocratica.

Quali percorsi sono stati attivati come Cep in vista di questo appuntamento?
Dal punto di vista regionale c’è stato soprattutto coordinamento. Il vescovo delegato, coadiuvato dai due Referenti regionali, ha convocato i Referenti diocesani per alcuni momenti di confronto e di sostegno delle attività che le varie Chiese stavano portando avanti. Così hanno fatto anche i vescovi nelle riunioni di Conferenza, soprattutto raccontandosi e mettendo insieme più i percorsi vissuti e le difficoltà incontrate che i temi dibattuti. Certamente anche gli Uffici e le Commissioni pastorali regionali si sono attivate per sostenere il lavoro che si andava facendo nelle varie diocesi a partire dalle indicazioni nazionali. Non ci sono state specifiche iniziative a carattere regionale.

Quali sono le richieste di cambiamento provenienti dal territorio che avete recepito come Cep e che porterete in assemblea?
La grande e condivisa richiesta di cambiamento è quella che riguarda lo stile, il modo di vivere i rapporti all’interno della comunità a tutti i livelli, parrocchiale e diocesano, con particolare riguardo per la dimensione decisionale, sia pure nel rispetto dei ruoli ministeriali. Dai racconti condivisi con i Confratelli posso dire che alcune istanze sono certamente comuni a gran parte delle sedici diocesi della Regione ecclesiastica. Penso innanzitutto all’Iniziazione cristiana dove ci si attende un vero input dal Cammino sinodale per mettere finalmente in atto intuizioni e orientamenti che da decenni i documenti sulla catechesi hanno proposto. Al riguardo credo che ci sia una domanda che deve precedere ogni riflessione e ogni dibattuti: “Perché queste intuizioni e questi orientamenti sono rimasti pressoché solo sulla carta? Che cosa è mancato?”. È una domanda importante perché è questo il nodo da sciogliere per trovare l’innesto positivo ad una riforma del nostro sistema di trasmissione della fede.

Penso ancora alla dimensione sociale della fede cristiana: nella nostra regione è molto sentita la crisi industriale con tutto ciò che comporta per la vita delle persone e delle famiglie; ma è anche sentito il problema del lavoro stagionale soprattutto in agricoltura.

Su questi temi c’è stato anche recentemente un momento di dialogo e confronto dei vescovi con il presidente della Regione Piemonte. C’è già un grande impegno delle comunità cristiane e questo non può non essere oggetto di riflessione da parte del percorso sinodale nella sua fase profetica. Penso ancora alla questione del linguaggio e della comunicazione. Penso alla diminuzione dei fedeli e del clero e della necessaria formazione degli uni e degli altri possibilmente non più così separata come in passato. Penso alla questione della ministerialità laicale, alla corresponsabilità nella vita delle comunità, con un particolare riguardo per la dimensione economica e gestionale delle Parrocchie. Non si è pensato ad un testo che raccolga i temi condivisi, ma mi sembra di poter sintetizzare così alcune esigenze e aspirazioni che porteremo certamente a san Paolo fuori le mura nel fine settimana.