Si è concluso con un invito a “avviare processi di speranza”, anche in vista del Giubileo, il discorso di Papa Francesco dalla basilica di San Giovanni in Laterano, a conclusione dell’assemblea diocesana che si è svolta a 50 anni dal Convegno sui “mali di Roma”, definito dal Pontefice “un evento che ha segnato il cammino ecclesiale e sociale della città”. Cinquant’anni fa, “la Chiesa di Roma si è messa in ascolto delle tante sofferenze che la segnavano, invitando tutti a riflettere sulle responsabilità dei cristiani di fronte ai mali della Chiesa, della città, entrando dialogo con essa e scuotendo la coscienza civile, politica e cristiana di tanti”. Cinquant’anni dopo, secondo Francesco, sono ancora tante le disuguaglianze e le povertà che colpiscono molti abitanti della città: “Se da una parte tutto questo addolora, dall’altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga strada da percorrere”. “Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono trovare lavoro o casa, malati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in altre dipendenze moderne, persone segnate da sofferenze mentali, persone che vivono in stato abbandono o disperazione”: tutto questo, per il Papa, “non può essere solo dato statistico: sono persone, sono volti di nostri fratelli sorelle, sono storie che ci interpellano”.
“Per favore, il povero non può essere un numero, un problema, o peggio ancora uno scarto! E’ nostro fratello, carne della nostra carne”,
il primo appello del discorso papale, articolato su tre punti: “portare ai poveri il lieto annuncio, ricucire lo strappo, seminare la speranza”. “Sentire la questione della povertà come un’urgenza ecclesiale che diventa impegno e responsabilità di tutti e sempre”, l’invito di Francesco: “E per favore – ha aggiunto – non diciamo che i cristiani che lavorano con i poveri sono comunisti!”. “La Chiesa è chiamata ad assumere uno stile che mette al centro coloro segnati dalle diverse povertà”, ha spiegato il Papa: “poveri di cibo, poveri di speranza, affamati di giustizia, assetati del futuro, bisognosi di legami veri. Rendiamoci presenti verso i poveri e diventiamo segno della tenerezza di Dio”.
“Un cristiano che non si fa vicino, che non è compassionevole e non è tenero non è un cristiano”,
ha esclamato Francesco ricordando le tre parole di cui è fatto lo stile di Dio: “vicinanza, compassione, tenerezza”. “Gesù non ci offre una soluzione magica alla povertà, ci chiede di portare ai poveri il lieto annuncio. Anzitutto di dire loro che sono amati dal Signore e che agli occhi di Dio sono preziosi, che la loro dignità è sacra. Tante volte noi cristiani diciamo questo a parole, ma poi non facciamo i gesti che lo rendono credibile”.
“Come possiamo accettare nostra città si buttino quintali di cibo e nello stesso tempo ci siamo famiglie che non hanno da mangiare?”,
il primo interrogativo del Pontefice: “Io lo vedo in un ristorante a 50 metri dal Vaticano”, ha raccontato: “i poveri vanno a cercare lì il cibo che buttano tutte le sere”. “Come possiamo accettare che ci siano migliaia di spazi vuoti e migliaia di persone che dormono sul marciapiede? Che i ricchi abbiano accesso a tutte le cure che desiderano e che il povero quando sta male non riesce a curarsi?”, le altre domande:
“una città che assiste inerme a queste situazioni è una città lacerata”.
Di qui l’invito “a ricucire lo strappo impegnandosi a costruire alleanze che mettano al centro la persona umana, a lavorare insieme, armonizzare le differenze e crescere nel dialogo con le istituzioni e le associazioni, con la scuola e famiglia, con le generazioni, con tutti, anche con chi la pensa diversamente”. Per ricucire lo strappo, secondo il Papa, “serve pazienza, dialogo senza pregiudizi, confronto con passione su idee, progetti, proposte utili a rinnovare il tessuto della città. Insieme possiamo rischiare strade nuove vincendo il virus dell’indifferenza, che tutti ci contagia. Per ricucire lo strappo abbiamo bisogno di uscire dall’indifferenza e lasciarci coinvolgere prima persona. Sarebbe bello se dall’incontro di stasera si uscisse con qualche impegno concreto”. “Vorrei chiedervi questo”, ha poi detto Francesco rivolgendosi ai presenti:
“valorizzate di più nella pastorale ordinaria e nella catechesi il pensiero sociale della Chiesa.
E’ importante formare le coscienze alla dottrina sociale della Chiesa, per tradurre il Vangelo nelle diverse situazioni sociali di oggi e diventare testimoni di pace, di giustizia e di fraternità”.
Ci vuole “una rete sociale solidale nella città, per ricucire gli strappi”,
la proposta del Papa, che ha esortato la sua diocesi a “pensare segni di speranza a favore della pace, della vita umana, degli ammalati, dei carcerati, dei migranti, degli anziani, dei poveri”, anche in vista del Giubileo ormai imminente. “La speranza non delude mai, andiamo sulla strada della speranza”, l’invito del Pontefice, che ha citato “i tanti sacerdoti, come don Luigi Di Liegro”, e “i tanti laici che si sono messi all’opera per il bisogno di gettare segni di bene, nella speranza che qualcun altro si sarebbe preso cura di quel seme”. “Se a Roma è molto forte la spinta del volontariato è perché qualcuno ci ha creduto e ha iniziato con piccoli passi”, l’omaggio del Papa: “Dobbiamo avviare nuovi processi di speranza, sognare e costruire la speranza attraverso il nostro impegno, che è un impegno responsabile e solidale”. “Grazie per tutto ciò che fate nella Chiesa e nella città di Roma”, il ringraziamento del vescovo di Roma: “osate nella carità”. Alla fine, la citazione di Charles Peguy: “la fede è una sposa fedele, la carità è una madre, la speranza è una bambina da nulla, eppure è questa bambina che attraverserà il mondo”.