Chi varca la soglia del monastero entra in un’aerea protetta, non militarmente protetta, ma ben diversa da quel quotidiano che si lascia alle spalle. Non significa abbandono della storia contemporanea con tutte le sue vicissitudini e i suoi travagli, neppure distacco da un fermento creativo che si rinnova costantemente grazie all’arte, alla scienza, all’industriosità e al lavoro di chi lo popola.
Significa ben di più: riconoscere che il Creatore è sempre creante e Creatore attivo, non solo ci accompagna ma ci precede, posto che Gli si lasci spazio e tempo per agire.
Noi, umani, siamo sempre secondi: Gli rispondiamo, Lo assecondiamo nel Suo agire.
Come però si concreta tutto questo anelito una volta varcata la soglia?
La monaca comprende e apprende in quella splendida catena di trasmissione che germina dai monaci e dalle monache dei primi secoli di vita della Chiesa, il punto principale: Egli, l’Altissimo, nel Suo Amore Trinitario, è sempre presente e attende che lo si accolga adorandoLo.
Canta Efrem il Siro:
M’inginocchio davanti a te, Signore,
per adorarti.
Ti rendo grazie, Dio di bontà;
Ti supplico, Dio di santità.
Davanti a te piego le ginocchia.
Tu ami gli uomini e io ti glorifico,
o Cristo, Figlio unico
e Signore di tutte le cose.
Non dice altro la vita monastica, non conosce proclami, opere costruttive, dice solo che Egli è presente alla storia e da Lui ogni vita trae la linfa. Ildegarda di Bingen lo incise nella storia:
Via e meta dell’Amore
Dio insegnami nello Spirito Santo
a percorrere le Tue strade
per poter ricevere il Cibo della vita,
che porgi ai credenti
per l’elezione e la santificazione.
Prendimi allora benevolmente
nella più alta beatitudine
e lasciami riposare nel Tuo grembo.
Perciò dire preghiera è importante, quando si scrutino tutte le diverse forme che il mettersi in ascolto dimostra di possedere.
Più importante è cogliere l’orante, la persona che ha appreso il respiro dell’Amore trinitario e che, come ogni respiro, non va trattenuto e bloccato ma va accolto ed emesso, donato.
Il respiro è lo Spirito Santo. L’orante diventa canale in cui il Soffio passa e raggiunge tutto e tutti:
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni; datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
L’orante, per questa ragione è ubiquo, compresente ad ogni persona, compresente ad ogni evento. Consola dove si deve consolare, medica dove si deve medicare una ferita, si rallegra quando la gioia esplode e geme quando il dolore sovrasta.
Francesco d’Assisi lo espresse con la vita e con il suo canto:
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia ch’io porti l’Unione,
dov’è dubbio fa’ ch’io porti la Fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.
Farsi canale del Soffio per raggiungere tutti.
Parola ed Eucaristia vengono donati nel Soffio e la preghiera liturgica che scandisce la giornata e la notte dell’orante, rimbalza in ogni dove e in ogni animo, con il canto dei salmi, con la proclamazione della Parola.
Il silenzio diventa quel fertile terreno spalancato all’accoglienza di Colui che ci parla e quella forma di preghiera detta orazione, si concreta in quel tempo in cui tutto cede dinnanzi alla Bellezza dell’incontro con l’Amore trinitario.
Michel di Tibhirine lo aspirava: “Spirito Santo Creatore, degnati di associarmi – il più rapidamente possibile; ma non la mia volontà, ma la tua … – al Mistero Pasquale di Gesù Cristo, nostro Signore, con i mezzi che Tu vorrai, e per quello che Tu vorrai”.
È l’energia che sprigiona il Risorto ed investe tutti coloro che desiderano riconoscerLo: predicazione silente e quindi tanto più potente.
Nel VI secolo il monaco siriano Giovanni Climaco affermava:
Per il suo proprio potere, la preghiera è il sostegno del mondo.