Lo scorso 28 settembre presso il Pontificio santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei il convegno regionale di volontariato carcerario sul tema della “Giustizia riparativa – Annuncio Profetico” promosso dalla Conferenza episcopale campana insieme alla Pastorale carceraria campana e l’Ispettorato dei cappellani nelle carceri. Venerdì scorso a Massa Carrara un convegno sul tema “Giustizia riparativa, percorsi di riconciliazione” promosso dalla Caritas della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli in collaborazione con la Cappellania del Carcere della città e la Pastorale Sociale e del Lavoro. Due incontri, recentemente, si sono svolti a Catanzaro e Lamezia Terme sul tema “Con il dialogo ho perdonato chi ha ucciso mio padre” con la testimonianza di Agnese Moro, figlia dello statista e presidente della Democrazia Cristiana Aldo, rapito ed ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 e la partecipazione di tre vescovi: mons. Francesco Savino, mons. Claudio Maniago e mons. Serafino Parisi. E di giustizia riparativa si parlerà anche alla Scuola di teologia per laici della diocesi di Ferrara-Comacchio.
Un tema “forte” quello della “giustizia riparativa” che in tante realtà si sta portando avanti e che continuerà ad essere al centro di iniziative della pastorale penitenziaria. In Calabria la testimonianza di Agnese Moro ha “catalizzato non solo il pensiero delle persone, ma soprattutto il cuore”, ha detto al Sir sr. Nicoletta Vessoni, operatrice da 11 anni in carcere nel capoluogo calabrese e responsabile nazionale delle religiose che lavorano nei penitenziari in Italia: “il lavoro che questa donna, Agnese Moro, ha fatto su di se e il percorso che ha intrapreso sostenuta e provocata da p. Guido Bertagna non è stato indifferente. Un percorso che le ha richiesto parecchi anni e il superamento di tante resistenze dentro di se e mi ha molto colpito il dato che più volte ha sottolineato. E cioè che questo percorso ha avuto inizio quando i colpevoli avevano pagato completamente il debito con la giustizia, quindi non dovevano più nulla a nessuno, se non saldare un debito di coscienza verso chi era rimasto colpito dalla perdita del padre”.
Un lavoro “molto coraggioso – aggiunge – durato parecchi anni e sfociato in un discorso che da persone contrapposte si sono ritrovate a raggiungere un frutto molto bello: tra loro c’è una amicizia che ormai dura da anni”.
Una iniziativa quella svoltasi prima nel carcere di Catanzaro e poi a Lamezia Terme nata – spiega la religiosa – “da un momento vissuto nel laboratorio di lettura e scrittura dove un detenuto si era espresso con tutta la violenza che vivrebbe verso qualcuno che gli facesse del male. Io non ho risposto, ma nei giorni successivi con i componenti del laboratorio abbiamo visto e quindi ascoltato una testimonianza di Agnese Moro e successivamente una di Franco Bonisoli. La conseguenza è stata quella di iniziare a sognare di poter incontrare personalmente Agnese. Il percorso è stato lungo e in salita, per gli aspetti burocratici che dentro il carcere si vivono. Ma ce l’abbiamo fatta”. L’incontro nel carcere è stato preparato da sr. Vessoni con molta cura e i detenuti “erano molto in ansia ma contenti di aver raggiunto un obiettivo così grande. Sentiremo nelle prossime settimane le ripercussioni che ha avuto un tale incontro”. Il tema punizione – spiega – deve “fare i conti con la parola rieducazione che dovrebbe essere la funzione del carcere. Luogo dentro il quale nessuno perde la propria degnità di persona e di questo la nostra costituzione è molto chiara: qualsiasi cosa uno commetta non smette di essere persona e quindi di conseguenza deve essere trattato come tale.
Purtroppo la funzione rieducativa resta un bel sogno a volte anche molto lontano perché il sistema non è per nulla sull’onda della rieducazione”.
Una seconda possibilità bisogna darla ad ogni persona e quindi “proprio in nome di questo principio non è possibile non trovare strade che rimetta in moto qualche percorso o cammino positivo, serve avere fiducia nell’altro e trovare quegli aspetti che nell’altro ti permettono di far emergere il positivo”. Nella sua esperienza di oltre un decennio in carcere sr. Vessoni è convinta che se si trova il modo di “valorizzare l’altro” non mancano “aspetti positivi. Ricordiamoci che a volte ci troviamo davanti a persone con delle grandi potenzialità che chiedono di essere scoperte, intraviste e data l’opportunità di esprimersi. La scuola dentro le carceri è sicuramente uno spazio di grande opportunità in questa direzione, come pure i vari laboratori che permettono alle persone di esprimere la ricchezza che portano in cuore. Non sono così cieca da non sapere che per molte persone nè stimoli, nè opportunità permetteranno un cambio di prospettiva esistenziale”.