Card. Marengo: “Giuseppe Allamano continua a indicarci il Figlio Gesù”

I santi incarnano nella loro esperienza umana un particolare aspetto del mistero di Cristo e della Sua Chiesa. Per il santo Giuseppe Allamano questo aspetto particolare è la Missione, soprattutto quella cosiddetta ad gentes, cioè destinata a chi ancora non conosce Cristo e vive in condizioni in cui la possibilità di incontrarlo dipende in gran misura dalla presenza dei missionari e delle missionarie

Il racconto dei vangeli ci apre una finestra sull’esperienza di missione degli apostoli. È da loro, alla sequela di Gesù, che impariamo sempre e di nuovo la missione. Ed effettivamente la missione si può intendere come una grande, continuata azione di liberazione dal male, di vittoria sulle forze che imprigionano le persone, portandole alla loro piena dignità di figli e figlie amatissimi da Dio. In questa azione s’instaura una sinergia, un “contagio” reciproco tra persone che possono anche non avere in partenza gli stessi presupposti, ma sanno collaborare per il bene autentico di tutti. Viene in mente l’impegno profuso da tanti missionari e missionarie della Consolata nei loro oltre 100 anni di esistenza a vantaggio della salute, dell’educazione, della dignità, della giustizia e della pace di tanti popoli del mondo…
La missione è tutto questo e ancora altro. E quella dei Missionari e Missionarie della Consolata è partita da qui, dalla sensibilità sopraffina di un semplice sacerdote torinese, conosciuto allora come il canonico Giuseppe Allamano, che fu rettore di questo santuario, formatore di sacerdoti e padre di missionari e missionarie nati dal cuore di Maria. E che la Chiesa ci addita come santo, dopo averne già riconosciuto l’eroicità delle virtù dichiarandolo beato nel 1990. Il Beato Giuseppe Allamano ha intrapreso una speciale via di santità che, con la canonizzazione viene proposta come autentica per tutta la Chiesa. Essa parte da uno slancio di amore eccedente per il Signore Gesù, proprio come i discepoli che erano stati da Lui scelti e che impararono a condividerne la missione; e si concretizza in una serie di caratteristiche che forse non riusciamo a ripercorrere qui per intero. Una certamente è indicata dal Vangelo odierno: la potremmo chiamare la qualità del “bicchiere d’acqua”. Sì, anche l’azione apparentemente più insignificante – come appunto offrire un bicchiere d’acqua – ha un significato immenso, quando compiuta per amore e con amore, nella discrezione. “Fare bene il bene e senza rumore”, avrebbe detto l’Allamano.
È il pragmatismo dei santi, talmente rapiti dalla bellezza del Signore da buttarsi senza indugio tra le sue braccia per seguirlo e annunciarne l’infinita misericordia a tutti; consapevoli dell’altissima vocazione ricevuta, si accorgono anche delle conseguenze nefaste dei propri cedimenti: molto meglio per noi che ci venga messa al collo una macina da mulino e ci inabissiamo nel mare, piuttosto che scandalizzare una persona con il nostro comportamento sbagliato…

Così facendo, i santi incarnano nella loro esperienza umana un particolare aspetto del mistero di Cristo e della Sua Chiesa. Per il Beato Giuseppe Allamano questo aspetto particolare è la Missione, soprattutto quella cosiddetta ad gentes, cioè destinata a chi ancora non conosce Cristo e vive in condizioni in cui la possibilità di incontrarlo dipende in gran misura dalla presenza dei missionari e delle missionarie. Il fatto della sua prossima canonizzazione – motivo di gioia immensa per tutti noi, suoi figli e figlie – ha anche questa valenza da non sottovalutare: la vocazione missionaria ad gentes e ad vitam, cioè come scelta di vita che spinge uomini a donne a consacrarsi al Signore per portare l’annuncio del Vangelo laddove la Chiesa non è ancora presente o lo è in forma embrionale, è una vocazione di santità che la Chiesa continua a riconoscere e a proporre come tale, perché ne vede la necessità e la preziosità. Con il susseguirsi delle generazioni da quel 16 febbraio 1926 in cui il Beato Allamano raggiunse la patria eterna, la missione ha subito vari scossoni; alcuni salutari, perché hanno permesso di ritornare all’essenziale, purificandola da possibili derive spesso aventi a che fare con ideologie; altri invece ne hanno in qualche modo minato la validità, mettendo addirittura in discussione la liceità di recarsi in zone del mondo diverse dalla propria di origine per annunciare il Vangelo, incarnandone la testimonianza. “Perché andare tanto lontano e da persone che hanno già le loro belle tradizioni spirituali per annunciare loro il Vangelo?”. Non è un caso che nello stesso anno in cui veniva beatificato Giuseppe Allamano San Giovanni Paolo II pubblicava un’importante lettera enciclica “sulla perenne validità dell’annuncio missionario”. Come a dire che qualcosa si era inceppato nella comprensione della missione evangelizzatrice della Chiesa e bisognava ricomprenderne il senso.

Sì, è bello ripeterlo qui oggi, tra fratelli e sorelle, tra amici e benefattori: quell’ideale perseguito dal Beato Allamano è ancora valido oggi, perché non è un semplice ideale, soggetto alle mode dei tempi, ma appartiene all’identità stessa del nostro essere cristiani. Diciamocelo ancora, alla luce dell’episodio propostoci dalla liturgia odierna: la missione è necessaria anche oggi ed è un dono immenso poterla vivere con quelle caratteristiche incarnate dal Beato Allamano. Proviamo a riassumerle in tre: amore per Dio, amore per gli altri, amore per la Chiesa.
Amore per Dio. La santità del Beato Allamano, riconosciuta dalla Chiesa, dice innanzitutto il primato di Dio. “Dio solo!”, continuava a dire a noi suoi figli e figlie. È solo nel rapporto intimo di comunione con il Signore Risorto che ha senso lasciare tutto e recarsi dove l’obbedienza manda, per diventare strumenti per l’incontro con Cristo. Il calcolo umano non regge, perché prigioniero dell’egoismo che fa scegliere i posti più comodi ed evitare le sfide. Poveri noi quando lasciamo prevalere queste logiche mondane; la missione ne soffre terribilmente e manchiamo verso coloro che – consapevolmente o no – aspettano il Vangelo e saranno costretti ad aspettarlo ancora, visto che a causa nostra non viene loro annunciato. La missione è questione di un amore profondo per il Signore, che sovrabbonda intorno a noi. È una questione di fede e di preghiera, di contemplazione che sfocia nell’azione.
Amore per gli altri. Questo amore che portiamo dentro e che – come gli apostoli – non possiamo contenere ci spinge ad innamorarci delle persone a cui siamo inviati, sforzandoci di calarci sempre di più nei contesti umani dove siamo inviati. Anche questo è amore, quando un missionario o una missionaria spende anni per imparare una lingua, versa lacrime amare nella solitudine e nelle prove, muore come il chicco di grano seminato lontano. Qui le logiche dell’efficientismo c’entrano poco, lasciando invece spazio allo spreco: “la misura dell’amore è amare senza misura” (S. Agostino). Amare un popolo vuol dire servire la gente che soffre, promuovere la dignità dei più deboli, impegnarsi per la salvaguardia del creato. Ma vuol dire anche spendere le migliori risorse intellettuali perché quel popolo sia conosciuto e rispettato nella sua originalità. Quanti dei nostri missionari e missionarie hanno contribuito all’affermazione culturale di gruppi e civiltà, scrivendone la storia, proponendone lo studio sistematico della lingua e della cultura, facendone apprezzare i valori morali e spirituali…
Amore per la Chiesa. Se siamo fedeli al carisma del Beato Allamano non possiamo trascurare un punto essenziale del suo magistero missionario: l’amore alla Chiesa, il fare tutto in comunione con il Papa e i pastori che succedono agli Apostoli, il promuovere il bene delle Chiese particolari in cui svolgiamo il nostro servizio. Noi stiamo con il Papa, perché l’Allamano ne era convinto: è solo nella comunione effettiva con il Successore di Pietro che il nostro servizio ha la garanzia di portare frutto. Quando facessimo di testa nostra, addirittura andando contro a quanto insegnato dal Papa (come purtroppo dobbiamo constatare sta talvolta avvenendo ai giorni nostri) ci condanneremmo all’infecondità, alla divisione, all’insuccesso.
Cari fratelli e sorelle, a meno di un mese dalla canonizzazione del Beato Allamano il Signore ci ha raccolti qui, nel luogo santo dove tutto è iniziato. E dove tutto può iniziare di nuovo per ciascuno di noi, se cerchiamo quel “santuario interiore” in cui il Signore continua a chiamarci a Sé per riversare su di noi la Sua pace. Ci mettiamo alla scuola di Maria, la Consolata, che dall’icona a lungo contemplata dal Beato Allamano continua a indicarci il Figlio Gesù e raccoglie le nostre ansie e preoccupazioni, restituendoci la vera consolazione. Solo tornando sempre e di nuovo a questa stanza interiore della preghiera saremo in grado di portare a compimento la missione che anche oggi ci viene affidata e lo Spirito Santo compirà anche in noi quella conformazione a Cristo che nei santi diventa similitudine. Loro sono i “somigliantissimi”. Lo possiamo essere anche noi, se ci lasciamo condurre nel mistero dell’eucaristia, che il Beato considerava “il tempo più bello della vita” e che la Chiesa ci addita come culmine e fonte della vita e della missione.

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