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Papa Francesco: “Siamo troppo eurocentrici”

Il Santo Padre nell'udienza di oggi ha ripercorso le tappe del "viaggio memorabile" in Asia e Oceania. "Ringrazio il Signore che mi ha concesso di fare da vecchio Papa quello che avrei voluto fare da giovane gesuita"

(Foto Calvarese/SIR)

“Siamo ancora troppo eurocentrici, o, come si dice, occidentali. In realtà, la Chiesa è molto più grande di Roma, d’Europa, molto più grande e molto più viva in quei Paesi!”. Lo ha esclamato Papa Francesco, che ha dedicato la catechesi dell’udienza di oggi a ripercorrere le tappe del suo 45° viaggio apostolico in Asia e Oceania, da lui definito “un viaggio memorabile”. “L’ho sperimentato in maniera emozionante incontrando quelle comunità, ascoltando le testimonianze di preti, suore, laici, specialmente catechisti”, ha testimoniato a proposito del viaggio apostolico più lungo del pontificato. “I catechisti solo coloro che portano avanti l’evangelizzazione”, ha aggiunto a braccio: “Chiese che non fanno proselitismo, ma che crescono per attrazione, come diceva saggiamente Benedetto XVI”.

“Oggi vorrei presentarvi due suicidi: questi due si sposeranno sabato prossimo!”,

la battuta a braccio prima di iniziare la catechesi, quando il Papa ha chiamato accanto a lui sul palco due giovani – …che avevano letto, lui in spagnolo lei in polacco, le letture che introducono l’appuntamento del mercoledì. “È bello vedere quando l’amore ci porta avanti per fare una nuova famiglia”, ha proseguito sempre fuori testo, chiedendo un applauso per loro. E sul tema della famiglia e dei figli il Papa è tornato anche nei saluti ai fedeli polacchi: “i figli sono la ricchezza di ogni nazione, anche qui in Europa”. Al termine dell’udienza, un nuovo appello per la pace.

“Ringrazio il Signore, che mi ha concesso di fare da vecchio Papa quello che avrei voluto fare da giovane gesuita, perché io volevo andare missionario lì”, le parole intrise di gratitudine.

In Indonesia “ho visto che la fraternità è il futuro, è la risposta all’anti-civiltà, alle trame diaboliche dell’odio e della guerra. Anche del settarismo”. E’ la sintesi della prima tappa del viaggio, dove il Papa ha incontrato “una Chiesa vivace, dinamica, capace di vivere e trasmettere il Vangelo in quel Paese che ha una cultura molto nobile, portata ad armonizzare le diversità, e nello stesso tempo conta la più numerosa presenza di musulmani al mondo”. “In quel contesto, ho avuto conferma di come la compassione sia la strada su cui i cristiani possono e devono camminare per testimoniare Cristo Salvatore e nello stesso tempo incontrare le grandi tradizioni religiose e culturali”, ha raccontato Francesco: “Non dimentichiamo le tre caratteristiche del Signore: vicinanza, misericordia e compassione”, ha aggiunto a braccio: “se un cristiano non ha compassione non serve a niente”. “Fede, fraternità, compassione è stato il motto della visita in Indonesia. Queste parole sono come un ponte, come il sottopassaggio che collega la Cattedrale di Giacarta alla più grande Moschea dell’Asia”.

Nei giovani “ho visto un nuovo futuro, senza violenze tribali, senza dipendenze, senza colonialismi economici o ideologici; un futuro di fraternità e di cura del meraviglioso ambiente naturale”,

la fotografia di Papua Nuova Guinea, dove il Papa ha incontrato “la bellezza di una Chiesa missionaria, in uscita”, i cui protagonisti “sono stati e sono tuttora i missionari e i catechisti”. A braccio, Francesco ha menzionato in particolare la sua visita a Vanimo, dove i missionari sono tra la foresta e il mare: entrano nella foresta per andare a cercare le tribù più nascoste”. “La fede va inculturata e le culture vano evangelizzate”, le parole ancora fuori testo sulla “forza di promozione umana e sociale del messaggio cristiano” che risalta in modo particolare nella storia di Timor Est, dove “la Chiesa ha condiviso con tutto il popolo il processo di indipendenza, orientandolo sempre alla pace e alla riconciliazione”, ha raccontato Francesco, rivelando di essere stato colpito soprattutto “dalla bellezza di quel popolo: un popolo provato ma gioioso, un popolo saggio nella sofferenza”: “Un popolo che non solo genera tanti bambini – c’era un mare di bambini – ma insegna loro a sorridere.

Non dimenticherò mai il sorriso dei bambini:

i bambini sorridono sempre lì, e ce ne sono tanti. E questo è garanzia di futuro. Insomma, a Timor Orientale ho visto la giovinezza della Chiesa: famiglie, bambini, giovani, tanti seminaristi e aspiranti alla vita consacrata. Ho respirato aria di primavera!”. “Un Paese molto diverso dagli altri tre: una città-Stato, modernissima, polo economico e finanziario dell’Asia e non solo”, l’istantanea di Singapore, dove “i cristiani sono una minoranza, ma formano comunque una Chiesa viva, impegnata a generare armonia e fraternità tra le diverse etnie, culture e religioni”: “Anche nella ricca Singapore ci sono i piccoli, che seguono il Vangelo e diventano sale e luce, testimoni di una speranza più grande di quella che possono garantire i guadagni economici”.

“Vorrei ringraziare questi popoli che mi hanno accolto con tanto calore, con tanto amore,

e i loro governanti, che hanno aiutato tanto questa visita perché si svolgesse in ordine, senza problemi”, l’omaggio finale: “Ringrazio tutti quelli che hanno collaborato a questo. Rendo grazie a Dio per il dono di questo viaggio! E rinnovo la mia riconoscenza alle autorità civili e alle Chiese locali, che mi hanno accolto con tanto entusiasmo. Dio benedica i popoli che ho incontrato e li guidi sulla via della pace e della fraternità!”.

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