“Una terra da abitare e custodire. ‘Il Signore Dio prese l’essere umano e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse’ (Gen 2,15)”. È stato il tema della 60ª sessione di formazione ecumenica del Sae-Segretariato attività ecumeniche, che si è svolta a Camaldoli. Un tema, ha detto la presidente del Sae, Erica Sfredda, che riguarda anche il Sae non solo in quanto “in quanto umanità che ha fede nel Dio Creatore. Esseri viventi che sono al mondo per volontà del Signore e questo comporta una responsabilità: una enorme responsabilità. Amiamo perché Dio ci ha amati per primi e siamo vivi perché Dio ci ha dato la vita”. Per Sfredda “forse è arrivato il momento di cambiare la nostra prospettiva, di rimboccarci le maniche e di lavorare insieme alla salvaguardia di tutto il Creato, anche del Sud del mondo, troppo spesso ridotto a fornitore di materie prime e discarica dei prodotti nocivi realizzati dai Paesi ricchi, tutto il Creato, anche gli animali, costretti a intrattenerci nei nostri salotti, o a produrre carne e cibo per le nostre tavole, tutto il Creato, anche le piante, le rocce, i monti, i fiumi, i laghi”. Della sessione, da poco conclusa, parliamo con Simone Morandini, membro del Comitato esecutivo del Sae.
Che bilancio si può fare di questa sessione di formazione del Sae?
Da sessant’anni il Sae prosegue l’opera della fondatrice Maria Vingiani, offrendo con le sessioni appuntamenti fondamentali per il dialogo interconfessionale, ebraico-cristiano e interreligioso in Italia. Quella di quest’anno è stata particolarmente intensa sul piano delle relazioni e davvero ricca sul piano dei contenuti. Lo ha testimoniato anche l’assemblea finale dei partecipanti: nella quasi totalità hanno espresso grande soddisfazione per l’esperienza vissuta. Da sottolineare tra l’altro il protagonismo delle generazioni più giovani, che ha trovato tra l’altro espressione nel loro contributo al gruppo che animava i momenti di preghiera e le liturgie. Importante anche la collocazione a Camaldoli, per lo splendore della natura in cui siamo stati immersi e per il calore della comunità monastica, con cui abbiamo condiviso momenti importanti.
Al centro della settimana il tema “Una terra da abitare e custodire”: come è stato sviluppato il tema?
I lavori sono stati articolati: abbiamo preso le mosse – con Athenagoras Fasiolo e me – dal riferimento alla confessione del Dio creatore quale elemento unificante le confessioni cristiane e le religioni monoteistiche per proseguire con un esame del drammatico “stato del pianeta” condotto da Spini e Marchetti. Abbiamo poi esaminato il cammino delle chiese in ordine alla salvaguardia del creato (Vladimir Laiba, Letizia Tomassone, mons. Domenico Pompili) e il contributo delle religioni (Adnane Mokrani, Jaya Murthy, Elena Seishin Viviani). Più prospettici e propositivi i momenti dedicati rispettivamente all’ecospiritualità (Elena Massimi, Davide Romano), all’economia (Enrico Giovannini), all’etica e alle pratiche di cura della terra (Dorothee Mack, don Bruno Bignami).
Nel titolo della sessione avete ripreso Genesi 2,15: “Il Signore Dio prese l’essere umano e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”. Quanto l’uomo di oggi è venuto meno a questo mandato del Signore?
Il testo di Genesi 2 è stato tra quelli meditati nelle preghiere del mattino (da parte di esponenti delle diverse tradizioni cristiane e da una voce ebraica). La gravità della crisi socio-ambientale che viviamo attesta la nostra incapacità di abitare in modo sostenibile la creazione di Dio. Egoismo, short-termism, avidità hanno spesso trasformato gli esseri umani da custodi a “satana della terra”, per usare un’espressione di Leonardo Boff. Gli appelli del Consiglio ecumenico delle Chiese, del patriarca Bartolomeo e di Papa Francesco sono convergenti nell’indicare qui una forma di inaccettabile peccato strutturale. E tuttavia al contempo solo gli umani dispongono di quella riserva di creatività e di capacità di cambiamento rapido che possono consentirci di uscirne;
solo a noi compete la responsabilità di far fronte alla crisi e di farlo presto: il mutamento climatico non attende!
Gli scienziati, infatti, ci dicono che il tempo per un’inversione di rotta sta scadendo, eppure ci sono negazionisti o, comunque, Paesi che restano insensibili a questi problemi a favore di uno sviluppo non più sostenibile…. Come si può promuovere il cambiamento?
Ci sono molti livelli sui quali occorre operare (e farlo in fretta): dal cambiamento degli stili di vita personali e comunitari all’azione politica fino al cambiamento delle forme dell’economia, superando la cultura dello scarto a favore della circolarità. A monte di tutto questo poi occorre lavorare per intensificare la consapevolezza della crisi, ascoltando i moniti preoccupati che ci vengono dal mondo della scienza e al contempo coltivando la speranza in un’utopia sostenibile di pace e di giustizia.
Si può trovare un equilibrio tra ecologia ed economia, nel segno della sostenibilità?
Il termine sostenibilità – lo ha sottolineato Enrico Giovannini – esprime una forte esigenza di cambiamento: da un’economia centrata sull’uso (ed abuso) delle risorse ecosistemiche ad una attenta alle generazioni future e al contempo all’equità già nel presente: giustizia intergenerazionale ed intragenerazionale. Molto c’è da lavorare in tal senso, anche perché forti sono le resistenze; non mancano però importanti esperienze significative, sia a livello di politiche nazionali sia di imprese orientate in tal senso e anche sul piano ecclesiale; don Bruno Bignami e Dorothee Mack hanno offerto testimonianze importanti in tal senso.
Esiste alla base dei problemi ambientali anche una questione non solo economica, ma anche culturale?
Certamente e lo hanno sottolineato numerosi relatori: a monte delle molte complesse questioni tecniche e scientifiche,
la crisi socio-ambientale è un problema culturale, etico e spirituale.
Per questo è determinante il coinvolgimento del mondo delle religioni, così potenti nel mobilitare risorse morali e attivare comportamenti. Elena Massimi ha sottolineato ad esempio che per la Chiesa cattolica lo stesso sacramento della penitenza dovrebbe tenere esplicitamente conto dei peccati ecologici.
La custodia del Creato può essere un terreno comune anche per il progredire del cammino ecumenico?
Lo è stato e lo è già e mi limito a citare in tal senso il Tempo del Creato: sorto dalla proposta avanzata nel 1989 dal patriarca Dimitrios di Costantinopoli di celebrare il 1° settembre – inizio dell’anno liturgico ortodosso – come festa del creato, esso è stato progressivamente recepito, tramite una ricca dinamica ecumenica, dalle chiese d’Occidente. Oggi viviamo assieme un Tempo che va dall’inizio di settembre al 4 ottobre, festa di Francesco d’Assisi, e il tema viene scelto ogni anno da un comitato a composizione interconfessionale; per il 2024 è “Spera ed agisci con la creazione”. Non è del resto un dato casuale: la fede nel Creatore accomuna le Chiese cristiane e non vi sono controversie confessionali di rilievo in quest’ambito. La riflessione in quest’ambito consente pertanto di valorizzare la diversità degli approcci come ricchezza, condividendo risorse spirituali. Ecumene ed ecologia condividono del resto la stessa radice “oikos”:
il cammino delle Chiese verso la comunione non potrebbe prescindere dalla condivisione della preoccupazione per il futuro della casa comune.