Ripensare la presenza della Chiesa nelle “aree interne” individuando prospettive nuove e soluzioni concrete. È l’obiettivo dei vescovi dei territori interessati che si ritroveranno il 16 e il 17 luglio, a Benevento, presso il Centro “La Pace”, per continuare la riflessione avviata nel 2019 e scandita negli anni da vari appuntamenti. L’incontro di quest’anno, a cui prenderanno parte una trentina di vescovi provenienti da 14 regioni, aiuterà a condividere spunti di riflessione e piste di azione per una pastorale adeguata alle esigenze attuali, in zone segnate dallo spopolamento dei territori, da una forte emigrazione e dalla mancanza di servizi. L’attenzione sarà focalizzata sui ministeri battesimali e laicali. I lavori si apriranno il 16 luglio, alle 12.30, con il saluto del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei. Alle 16, mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, terrà la relazione principale a cui seguirà il lavoro nei gruppi di studio. La mattinata del 17 luglio, dedicata al dialogo assembleare, si concluderà alle 12 con l’intervento di mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei. Mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, a cui si deve l’iniziativa, presenta al Sir l’edizione 2024.
Cosa significa ripensare la presenza della Chiesa nelle aree interne?
Significa innanzitutto ripensare un modello di Chiesa, perché il modello è stato finora essenzialmente incentrato, soprattutto nei piccoli paesi, sul proprio curato che stava una vita in quel luogo. Oggi il modello, così com’è stato disegnato durante il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium, deve rispondere a una riscoperta della ministerialità, che non è più solo quella ordinata, ma una ministerialità che nasce dal battesimo, quindi un rapporto diverso con il laicato. Questo è vero sia in area urbana sia in area rurale, sia in area interna, sia in area costiera. Questo è uguale per tutti, ma è vero anche che in certe zone può essere ancora più urgente il problema, perché la presenza del clero è molto più difficile da garantire. E questo significa anche ripensare i profili ecclesiali e la pastorale, significa anche trovare delle nuove collaborazioni. E questo non è facile: a volte, i centri interni, soprattutto quelli che hanno una lunga storia, sono fortemente caratterizzati e premono sulla propria identità in un rapporto quasi conflittuale con altri. Restare legati solo al proprio campanile oggi è impossibile perché su tante forme non si può più pensare su quella scala.
Ci faccia qualche esempio…
Pensiamo alla catechesi per i sacramenti dell’iniziazione cristiana, il “catechismo della prima comunione”, come si fa a pensarla come una volta? In certi centri ci sarà un bambino o ce ne saranno due o tre: che percorso possono fare da soli? È doloroso come per le scuole. Mi spiego: è dolorosissimo chiudere le scuole, ma se restano uno o due bambini che percorso potrebbero fare? E se, in ambito ecclesiale, questo è vero per i bambini, per i giovani il discorso si fa ancora più urgente, perché la percentuale di quelli che partecipano si abbassa ancora di più.
Dobbiamo cominciare a pensare ad agire in chiave almeno zonale.
Questi sono tutti problemi nuovi.
Quale può essere una pastorale adeguata alle aree interne?
Proprio su questo stiamo cercando di riflettere come vescovi, non abbiamo ancora la soluzione. Quest’anno la relazione di mons. Brambilla offrirà una triplice proposta concreta su cui discuteremo e ci confronteremo. Infatti, le situazioni sono simili, ma non esattamente sovrapponibili da diocesi a diocesi, tantomeno da Nord a Sud. Quindi, avvieremo una riflessione su questi temi. Non bisogna dimenticare che su questo non c’è neppure una bibliografia. Abbiamo iniziato noi il discorso delle aree interne, non era stato mai posto finora dai pastoralisti e dai teologi, perché i piani erano nazionali, ma quello che va bene per un modello urbano non va bene per le aree interne e viceversa.
Quest’anno rifletterete in particolare sui ministeri battesimali e laicali.
I ministeri battesimali sono quelli che sgorgano dal battesimo, quindi coinvolgono tutti i battezzati e il 99% dei battezzati sono laici. L’anno scorso abbiamo puntato di più sul ministero ordinato, quest’anno allargheremo il campo alla ministerialità.
Finora qual è stato il percorso compiuto? E com’è nata questa riflessione sulle aree interne?
Tutto parte nel 2019 con la lettera dei vescovi della metropolia di Benevento agli amministratori intitolata, provocatoriamente, “Mezzanotte del Mezzogiorno?” e li invitavano al I Forum delle aree interne. Da un lato, abbiamo continuato il cammino con gli amministratori, anche nel periodo del Covid facendo dei webinar di alto livello sull’argomento. Nel 2021 ho riflettuto che non era solo una questione sul piano sociale, ma anche sul piano pastorale, pertanto erano richieste risposte diversificate. Così ho convocato il primo incontro dei vescovi. Da allora ogni anno si tiene un incontro dei vescovi, così come proseguono ogni anno incontri più spostati sull’ambito sociale, attraverso i Forum sulle aree interne. Gli incontri estivi con i vescovi vertono sull’elaborazione di alcune linee per una pastorale per le aree interne. Le tre relazioni degli ultimi 3 incontri, compresa quella di mons. Brambilla al prossimo, quindi quella di mons. Crociata nel 2022, quella di mons. Repole del 2023 e quella di Brambilla per il 2024 saranno poi pubblicata dalla Gueriniana, con una mia breve introduzione per illustrare il contesto nel quale sono nate, in modo da mettere nero su bianco la questione, perché una bibliografia sull’argomento non esiste. Si fa così un passo ulteriore, inizia a nascere una bibliografia che servirà da base per ulteriori approfondimenti. Poi noi non abbiamo intenzione di fermarci: l’anno prossimo a maggio ci sarà una nuova edizione del Forum delle aree interne, a cui seguirà in estate il convegno dei vescovi delle aree interne.
Le sfide per le aree interne sono tante, a partire dallo spopolamento, la presenza di pochi bambini e ancor meno giovani, servizi insufficienti…
È chiaro che se vanno via i giovani non nascono più bambini in queste aree. I problemi sono a cascata: uno ne crea un altro.
Si incrociano i percorsi del Forum delle aree interne e degli incontri dei vescovi?
Sono complementari: l’ambito sociale pone le premesse per la nostra riflessione, che cade su un territorio particolare. Non prescindono l’uno dall’altro, d’altronde il divino e l’umano vanno insieme: questa è la logica dell’Incarnazione che ritroviamo nella persona di Cristo, altrimenti sarebbe una spiritualità disincarnata, non avrebbe nessuna possibilità di sopravvivere.
Quanti vescovi parteciperanno all’incontro del 16 e del 17 luglio?
Una trentina di vescovi da 14 regioni italiane: Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Questi convegni si sono sempre caratterizzati per l’estrema familiarità e informalità: una cifra in più di questi incontri per cui i vescovi vengono volentieri è che sono molto semplici, molto spontanei, molto familiari.
Noi vescovi abbiamo bisogno di questi momenti, diventa per noi un’esperienza di fraternità autentica e di sinodalità vera.