Settimana sociale. Grandi: “L’amicizia civile si costruisce partecipando”

Alla vigilia della Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio) l'analisi di Giovanni Grandi, docente di Filosofia morale e membro del Comitato scientifico delle Settimane sociali. “Si registra una certa fatica nell’immaginarsi, come cittadini, impegnati gli uni per gli altri. La crisi della partecipazione è il riflesso di una crisi culturale". La medicina? "Il protagonismo dei cittadini, l'ascolto reciproco, l'impegno per il bene comune, l'amicizia sociale e civile. Punti di contatto tra  cammino sinodale e Settimana sociale". E il dopo-Trieste? "Non ci saranno delle ‘conclusioni’ ufficiali, semmai dei ‘rilanci’ verso successive tappe"

(Foto G.G.)

La partecipazione dei cittadini alla vita democratica del Paese è il punto essenziale che, alla vigilia della Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sottolinea Giovanni Grandi, professore ordinario di Filosofia morale dell’Università degli Studi di Trieste e membro del Comitato scientifico delle Settimane sociali. Giunta alla 50ma edizione, la Settimana – che fra l’altro vedrà le presenze del Presidente Sergio Mattarella e di Papa Francesco – ha come titolo “Al cuore della democrazia”.

Crisi della partecipazione. La partecipazione – sostiene Grandi – non è qualcosa di scontato. E lo si vede chiaramente con l’astensionismo elettorale e la scarsa presenza di giovani e adulti nella vita dei partiti. Persino il volontariato, nelle sue diverse espressioni, sembra in fase di contrazione, pur mantenendo ancora una discreta vivacità e capillarità. “Si registra – afferma il docente – una certa fatica nell’immaginarsi, come cittadini, impegnati gli uni per gli altri. La crisi della partecipazione è il riflesso di una crisi culturale, di un indebolimento della disponibilità a creare bene comune, e tutto questo si riverbera in una più incerta coesione sociale. Quasi senza accorgercene ci immergiamo in prospettive di maggiore solitudine e di fragilità. È un paradosso nell’epoca dei social-media, che ci restituiscono l’impressione di essere sempre connessi e parte di grandi comunità, ma appunto di una impressione si tratta: la solidarietà reale, l’amicizia civile, si costruisce partecipando con e per gli altri”. Rilanciare questa prospettiva è, dunque, la sfida “al cuore della democrazia”.

Trieste, confine aperto. Con il prof. Grandi è possibile immergersi nella realtà locale che accoglie la Settimana. “Trieste – spiega – è l’ultima città ad essere entrata nell’Italia repubblicana, è il luogo più a lungo trattenuto dalla risacca della tragedia della Seconda guerra mondiale, è il territorio che per decenni ha continuato a fare i conti con l’inimicizia tra popoli dettata dalle ideologie. Trieste è oggi il confine aperto: racconta la possibilità di non rimanere intrappolati nelle logiche divisive e di contrapposizione; racconta l’apertura, la ritessitura di cooperazione, di amicizia tra popoli; racconta la possibilità concreta della pace. Il senso stesso dell’Unione europea in fin dei conti. Sono, ancora una volta, i frutti di un impegno nel superare gli isolamenti, le divisioni, senza umiliare le memorie ferite ma riuscendo a ripristinare un riconoscimento reciproco, un rispetto che diventa pian piano collaborazione e opportunità per nuovi legami e nuove solidarietà”.

Il protagonismo dei cittadini. Torniamo alla partecipazione. “Sì, al cuore della democrazia c’è proprio la partecipazione, cioè la possibilità che tutte le persone che vivono i territori possano esprimere il loro pensiero sul futuro politico della polis. Anche l’aver cambiato il nome in Settimana dei cattolici in Italia sottolinea questa idea: quelli che risiedono in un territorio, che lo vivono attraverso mestieri, professioni, vite familiari, lo conoscono e hanno quindi la competenza civile, che possiamo definire anche politica, per dire quali sono i suoi bisogni e le sue risorse”. Per Giovanni Grandi è necessario riuscire a mettere a sistema queste informazioni, “soprattutto i desideri e le proposte che emergono: serve la partecipazione, che significa riallargare la base di protagonismo delle persone”. C’è un “però”: la “folla”, infatti, “non è un coro, e quindi bisogna riuscire a mettere in campo metodologie e modalità che consentano un ascolto tra le persone e anche di arrivare a delle indicazioni prioritarie che siano condivise. Questo movimento è il cuore della democrazia per come l’abbiamo voluto proporre in questa Settimana”.

Bene comune, amicizia sociale. Lei fa spesso riferimento ai termini di “bene comune” e di “amicizia sociale”. Come nasce il primo? Come si definisce il secondo? “Il bene comune si genera solo quando diventiamo disponibili a conferire parte delle nostre risorse alla comunità, perché le metta a sistema e le faccia circolare in modo che raggiungano tutti, affinché tutti ne possano beneficiare in ragione dei rispettivi bisogni. D’altra parte è importante che le istituzioni gestiscano bene questa redistribuzione, perché contribuisca alla crescita – usando le parole dell’art. 4 della Costituzione – ‘materiale e spirituale’ della società. Quando questa circolazione di risorse diventa virtuosa, allora si genera anche l’amicizia sociale”. Ovvero? “Direi così: vivere insieme, nella solidarietà e nella sussidiarietà, è un valore esperienziale. E più ci radichiamo in questa esperienza positiva, più diventiamo capaci di partecipare, di metterci a disposizione, perché impariamo a farlo non in nome di quel che ritorna, ma appunto in nome di quel legame tra la parte e il tutto e tra il tutto e la parte che è l’amicizia sociale”.

Dimensione ecclesiale e civile. La Chiesa italiana si ritrova a Trieste mentre è in corso il Sinodo. Ci sono punti di contatto tra il cammino sinodale e la Settimana sociale? “Possiamo dire che la sinodalità è il nome ecclesiale della partecipazione” afferma Grandi. “La sinodalità, come la partecipazione, hanno come soggetto un popolo raccolto anzitutto in ascolto. Certamente l’ascolto dello Spirito introduce qualcosa di diverso dall’ascolto di sé e dall’ascolto comunitario, ma l’attitudine di fondo, cioè il decentramento, il fare spazio all’altro è la medesima. La democrazia poi non è soltanto una questione di sistema di voto, di rappresentatività ma, come dice bene la radice greca del termine, è il potere del popolo. Allora, il fatto di potersi raccogliere, ascoltare reciprocamente e capire come riusciamo a utilizzare al meglio questo potere diffuso e che è di tutti, per il bene comune, è la sfida per la democrazia: in questo senso i cammini sinodali ci insegnano che si può raggiungere un accordo e un’unanimità passando attraverso la condivisione, attraverso processi ben elaborati, che non sempre richiedono un voto, non sempre richiedono di dividersi tra maggioranza e minoranza, ma invece possono comportare un grande lavoro di concerto”. La Settimana sociale “diventa così un ponte metodologico e anche, per così dire, di amicizia, tra una dimensione ecclesiale e una dimensione civile”.

Il dopo-Trieste. A questo punto lanciamo lo sguardo in avanti, al “dopo-Trieste”. La Settimana sociale “è stata concepita come un processo e non come un evento isolato, anche per questo non ci saranno delle ‘conclusioni’ ufficiali, semmai dei ‘rilanci’ verso successive tappe che intendono valorizzare l’esperienza di rete e di connessione tra territori che ci auguriamo possa realizzarsi nel migliore dei modi”. Grandi conclude: “Il discorso rimane allora aperto, e sarà interessante poterlo proseguire a valle delle giornate di Trieste”.

 

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