Si parlerà di democrazia e partecipazione alla Settimana sociale di Trieste, ma anche di famiglia. “Sul tema della partecipazione, del civismo, della democrazia una riflessione che non partisse dalla famiglia sarebbe monca. Infatti la democrazia non si impara, né si esperimenta, né si esercita solo in Consiglio comunale e regionale, in Parlamento, nelle associazioni”, dice al Sir il presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, Adriano Bordignon.
Quale sarà il contributo del Forum famiglie alla Settimana sociale di Trieste?
Noi abbiamo due momenti in cui offriamo il nostro contributo: uno nella Piazza della democrazia su “Famiglie: legami, relazioni e comunità”, giovedì 4 luglio, e l’altro, sabato 6 luglio, nella tavola rotonda “Progetto Fosbury – piattaforme per attivare il protagonismo giovanile – Forum associazioni familiari”, a cui intervengono Fabrizio Canta, Sara Ciaci, Nicolò Rocco, Enrico Parisi, Alessandro Rosina, don Alberto Ravagnani, moderati da me. Questo secondo contributo riguarda i giovani, altri soggetti a nostro avviso poco riconosciuti, valorizzati e coinvolti nelle dinamiche partecipative e democratiche: presenteremo il “Progetto Fosbury”, nome che s’ispira a quel saltatore in alto, che ha rivoluzionato l’atletica inventando il salto dorsale e cambiando il paradigma del salto, che è riuscito a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico. Ci saranno le testimonianze di 4 giovani di varie parti d’Italia, che raccontano i loro sogni e desideri, non in chiave individualistica, ma personalista, cioè considerando anche il loro contesto e la comunità di riferimento territoriale, valoriale, professionale. L’idea è di partire da questo per costruire con i giovani, per avviare percorsi per qualificare il loro protagonismo nella vita. Per la Piazza della democrazia vogliamo offrire il nostro contributo come associazioni familiari. Quasi sempre nei contesti politici e sociali – e molto spesso anche nella Chiesa – la famiglia è considerata come il punto di ricaduta di azioni di altri, chi chiede servizi alla società civile o alla Chiesa, un luogo di emersione dei problemi. Ma, come Papa Francesco in più di un’occasione l’ha sottolineato, in particolare nel 2015 quanto ha incontrato i vescovi degli Stati Uniti a Philadelphia, la famiglia non è il luogo delle preoccupazioni per la Chiesa e per la società, ma è prima di tutto il luogo che conferma la benedizione di Dio al Suo popolo. L’idea che vogliamo portare alla Settimana sociale è proprio questa: la famiglia non solo come punto finale di ricaduta di alcune residuali azioni, ma una protagonista del contesto, quindi un soggetto sociale che può contribuire con i suoi punti di vista, con le sue risorse, con diritti e doveri alla qualità della vita nei contesti a cui partecipa.
È un modo diverso di guardare alla famiglia…
Questa è una prospettiva importante in un momento in cui si vedono una fatica, una stanchezza, una retrazione dalla partecipazione nei contesti pubblici che avviene sia nell’amministrazione locale sia nei momenti in cui siamo chiamati agli appuntamenti elettorali, sia nell’approccio tra le dimensioni micro, intermedie e macro. Rispetto a questo crediamo che la famiglia sia chiamata a dare un grande contributo. Io e mia moglie, spesso, riflettiamo insieme su quel documento bellissimo che è l’Amoris Laetitia:
c’è un aspetto che Papa Francesco richiama ed è saper abitare oltre i confini della propria casa.
Quando le famiglie si bastano, si rinchiudono, si orientano al proprio ombelico e alla propria sopravvivenza o al proprio autonomo benessere, c’è un grave fallimento nel quale noi famiglie rischiamo di incorrere. La prospettiva invece è di saper abitare oltre i limiti della casa, sia in senso fisico sia come limite di non saper superare se stesso per andare verso qualcun altro. La famiglia nasce dal sacramento del matrimonio che è un sacramento sociale, come quello dei presbiteri, cioè gli sposi, la famiglia, non sono per se stessi, cioè sono certamente per la coppia e per i figli, ma anche per il contesto nel quale vivono, questa è la base nativa dell’impegno. Le famiglie devono assumersi questa responsabilità: oltre ai contesti della politica, stiamo notando una difficoltà nella partecipazione anche ai momenti di Chiesa, alle messe, ai gruppi parrocchiali, ai gruppi sposi. Tutto l’associazionismo, dopo il Covid, sta vivendo delle fatiche, delle complessità, delle riorganizzazioni, attorno anche a basi numeriche che si vanno riducendo e a età medie che si stanno alzando sempre più. Su questo crediamo che le famiglie debbano assumersi una responsabilità di animare il contesto in cui vivono, altrimenti la funzione tipica delle famiglie, che gli studiosi indicano come “flourishing”, cioè il concorrere al fiorire dell’attività del contesto, rischia di scivolare in altre dinamiche che già stiamo vivendo che sono quelle della stagnazione, si parla di “languishing” in inglese. Qui sta la fatica del nostro Paese perché la democrazia – oltre a essere rispetto delle persone, della dignità, dei ruoli – è anche attivazione di risorse, opportunità, crescita. Le famiglie non possono accontentarsi di stagnarsi tra di loro né di vivere in contesti stagnanti né di lamentarsi che i contesti sono stagnanti.
Devono farsi protagoniste della qualità della vita nei contesti dove vivono.
Cosa può dare la Settimana sociale alle famiglie?
Può dare due tipi di contributo. Uno proprio orientato alle famiglie: un nuovo riconoscimento di stima per quello che stanno facendo e, collegato a questo, un ingaggio a non abbandonare la complessità della mischia e a non ritirarsi negli spazi di sicurezza. Se arrivasse alle famiglie il riconoscimento della loro importanza per le loro funzioni proprie e dell’essere co-protagonisti di un cambiamento, questo aiuterebbe molto in termini di funzionalità: infatti, il capitale sociale rappresentato dalle famiglie deve essere rinfocolato e sostenuto. Un secondo contributo viene dal fatto che le relazioni che si possono instaurare interassociative o interistituzionali in contesti come le Settimane sociali sono uno stimolo molto significativo per noi come Forum, per la nostra rete di 500 associazioni, e un invito a correre il rischio di relazionarsi, di co-progettare e di camminare con gli altri. Infatti, in epoche complesse come la nostra uno dei rischi che si corrono è di auto preservarsi, stare nelle aree di sicurezza e di comfort.
Le famiglie in Italia non godono di politiche che finora sono state di aiuto al loro sostentamento e al rilancio della natalità.
Per troppo tempo la famiglia è stata l’agone della politica, utilizzata in prossimità delle elezioni, poi disconosciuta perché l’Italia è il Paese europeo che ha attivato meno politiche familiari storicamente e l’esito si vede in una denatalità che – pur essendo un fenomeno di tutto il mondo economicamente sviluppato – l’Italia vive in modo più grave nel contesto europeo. Oggi far famiglia è estremamente complicato dal punto di vista economico, gestionale: c’è tutta la partita aperta dei riconoscimenti e trasferimenti economici, dei servizi territoriali, dell’accessibilità a tali servizi. Ma non solo: c’è tutto un grande lavoro dato per scontato che riguarda le competenze relazionali, educative, la capacità di resilienza e di generatività rispetto ai problemi della vita. Su questo c’è una grandissima sfida aperta per cui le famiglie meriterebbero non dei piccoli bonus, degli estemporanei contributi, ma un piano di intervento che non sia fatto di mancette, ma che riconosca la loro funzione, quindi che le sostenga nelle loro funzioni di genitori e nelle relazioni tra pari, tra coniugi, e che sostenga quel capitale sociale primario nel contesto in cui vive.
Papa Francesco parla di famiglie come laboratori di umanizzazione, noi dobbiamo fare in modo che le famiglie possano essere questo.
Se sono attanagliate dal problema di tenere insieme pranzo e cena, da lavori per i quali non si riesce a essere sostenuti da servizi territoriali o non si può scegliere di fare un part-time, da problemi abitativi significativi, si tolgono risorse a quella che è la competenza primaria delle famiglie che è quella di cura, educazione e relazione.
Cosa auspica ancora in vista dell’appuntamento di Trieste?
Dobbiamo fare un grande lavoro sulla significatività delle organizzazioni e dei cosiddetti corpi sociali intermedi: da un lato, bisogna fare in modo che non ci siano dei corpi sociali intermedi proni alle varie dimensioni di potere e, dall’altro, bisogna stimolare le nostre organizzazioni che sono largamente coinvolte a non lavorare in una prospettiva di auto preservazione ma a capire che siamo in un cambiamento d’epoca come ci dice Papa Francesco dal 2015. E se c’è un cambiamento d’epoca bisogna che cambiamo linguaggi, stili, modalità e siamo proiettati verso il fuori, il futuro, gli altri più che a continuare, altrimenti il “languishing”, il paludarsi, diventa un destino che non si può evitare.