Domenica 2 giugno si celebra la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Nell’Eucaristia Gesù non ci dà solamente la sua Parola, il suo Vangelo, ci dà anche il suo “corpo” per farci comprendere che è insieme a noi in modo reale, abitando la nostra storia. Del Corpus Domini che ci apprestiamo a celebrare e del Congresso eucaristico che si svolgerà quest’anno a Quito, in Ecuador, dall’8 al 15 settembre, parliamo con don Paolo Morocutti, unico teologo italiano che vi parteciperà.
Don Paolo, si comprende appieno il dono grande che il Signore ci fa con l’Eucaristia?
C’è e c’è sempre stata una fatica nel comprendere realmente l’Eucaristia nella sua realtà più profonda. La fatica più grande è quella che ci impedisce di superare l’aspetto devozionale, a cui tutti siamo profondamenti legati, per entrare nella dimensione più reale, che è quella di accogliere un Dio che è presente, s’incarna in Gesù Cristo ed è capace di dare risposte concrete alle ferite dell’uomo. Il Corpus Domini dovrebbe essere per tutti questa affermazione gioiosa, forte, di un Dio che è presente realmente nel pane e nel vino, ma che è anche capace realmente di venire incontro a questo bisogno dell’uomo. In fondo, l’Eucaristia dovremmo rileggerla come questa realtà capace di dare una risposta alle realtà che stiamo vivendo e ci smarriscono: la guerra, la violenza, l’inquietudine, l’incertezza del domani. In questo panorama di grande incertezza noi cristiani dobbiamo ridirci sempre di più che c’è una certezza: questo Dio che è insieme a noi, non in modo spirituale o devozionale, è insieme a noi in modo reale, talmente vicino e talmente presente tanto che è capace di configurarsi e abitare la nostra storia, anche quella più contraddittoria.
Come si passa dalla devozione alla comprensione più profonda dell’Eucaristia?
La devozione e la devozionalità sono un punto di partenza importante perché – grazie a Dio – il nostro popolo ancora riconosce nell’Eucaristia una presenza. Il problema è che questo punto di partenza va declinato in una maniera meno superficiale, ma più profonda. Bisogna portare a capire le persone non solo che nell’Eucaristia è presente Dio, ma quali sono le conseguenze di questa presenza, quella che gli orientali chiamano ancora la “divinizzazione dell’uomo”. In questa relazione cresciamo e diventiamo veramente simili a Cristo, quindi è un passaggio dal riconoscere una presenza al farla, poi, fruttare. Una presenza che ci deve trasformare. Dunque, il passaggio è quello dal riconoscere la presenza di Dio a far sì che questa presenza, abitando in noi, ci responsabilizzi e consenta una trasformazione integrale della nostra persona e, ancora, a far sì che questa presenza poi sia anche foriera di trasformazioni globali, nell’antropologia, nell’economia, nella società, nella famiglia. A questo deve rispondere una vera devozione all’Eucaristia.
I Congressi eucaristici aiutano a far vivere questo passaggio? Dall’8 al 15 settembre vivremo un nuovo appuntamento internazionale…
I Congressi eucaristici certamente hanno un ruolo fondamentale. A Quito in Ecuador vivremo il 53° Congresso eucaristico internazionale. Questo significa che la Santa Sede, che ha un Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici, ha sempre dato una grandissima rilevanza a questi incontri, che hanno come finalità non solo di riportarci all’Eucaristia come devozione: il centro di questi Congressi eucaristici è definire che il culto dell’Eucaristia non deve e non può essere solo declinato in modo devozionale, ma essere compreso nella sua realtà più viva e profonda. È la consapevolezza che
l’amore di Dio incarnato in Cristo è realmente presente nell’Eucaristia ed è la vera fonte di salvezza e di guarigione dell’uomo.
Il tema scelto per il Congresso eucaristico internazionale di Quito è “Fraternità per sanare il mondo – Voi siete tutti fratelli (Mt 23, 8)”.
Il tema è scelto dal Vangelo di Matteo al capitolo 23, ma è anche molto chiaro, schietto. “Fraternità per guarire il mondo”: c’è un’affermazione che la guarigione del mondo passa, secondo la visione evangelica, attraverso questa fraternità, questa realtà in cui gli uomini diventano fratelli, ma questa realtà, da un punto di vista cristiano, non è solamente in qualche modo possibile attraverso la buona educazione, la socialità, la pedagogia, ma ha bisogno di una guarigione profonda, che non può venire dall’uomo. L’uomo non si può dare da se stesso questa guarigione, l’uomo ha bisogno di essere guarito. In questa affermazione di Matteo, “fraternità per guarire il mondo”, da cui è nato il documento base tradotto in diverse lingue e promulgato dalla Conferenza episcopale dell’Ecuador, è espressa questa necessità di riconoscersi malati. Se non si parte da questo e si parte dall’autosufficienza non arriveremo mai a una fraternità vera, capace di rispondere alle tante ferite che stiamo vivendo.
Lei sarà l’unico teologo italiano a Quito: che responsabilità sente e che contributo porterà da parte dell’Italia?
Ho accolto questo invito con estremo stupore, sono stato contattato dal Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici e ciò mi ha lasciato senza parole. Il contributo che darò proviene da un sentire italiano. È vero che la fraternità guarisce il mondo, ma poi la fraternità s’incarna in contesti sociali e culturali. Nella nostra Italia viviamo ancora il nostro rapporto con l’Eucaristia in modo controverso: c’è ancora tanta devozione ma c’è anche tanto bisogno di riscoprirla nel suo senso più profondo e reale. Sento una grande responsabilità di interpretare una teologia che nel nostro contesto italiano sull’Eucaristia ha avuto grandi nomi e grandi spunti. Spero che sia un contributo di comunione, una piccola goccia che vada ad aggiungersi a un oceano di riflessioni in tutto il mondo in cui l’Eucaristia è definita l’unico vero farmaco capace di guarire queste ferite dell’uomo. Il mio contributo verterà sul rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia. L’Ecuador celebra i 150 anni della consacrazione al Sacro Cuore ed è il primo Paese al mondo che si è consacrato al Sacro Cuore, questo rapporto tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è lo specifico per cui sono stato chiamato e dimostra che
l’Eucaristia è un cuore vivo, è un cuore che pulsa, è un cuore capace di dare amore e di sentire anche dolore,
perché il cuore di Cristo, come insegna la Tradizione, è un cuore che palpita d’amore ma che sente sofferenza dell’indifferenza e freddezza con cui noi spesso ci relazioniamo con la persona di Gesù presente nell’Eucaristia. Quindi il rapporto che c’è tra il Sacro Cuore e l’Eucaristia è il superamento di ogni devozione per riaffermare che nell’Eucaristia è presente un cuore che pulsa, che batte, che dà amore ma che deve anche ricevere amore.
Dal Congresso eucaristico di Quito verrà l’invito a diventare “missionari eucaristici della fraternità”?
Diventare “missionari eucaristici della fraternità” non è una chiamata per qualche battezzato, è un dovere per tutti i battezzati perché
essere “missionari eucaristici della fraternità” significa essere missionari dell’amore di Gesù Cristo, come Gesù Cristo ce lo consegna e ce lo dà.
Per cui il dovere di una fraternità missionaria che ha al centro l’Eucaristia non è declinabile per qualche battezzato o per qualche realtà ecclesiale, ma è il modo proprio con cui la Chiesa celebra la vera fraternità.
Quali frutti si aspetta dal Congresso eucaristico 2024?
Il frutto è che i cristiani di tutto il mondo, ancora una volta tutti insieme e verso l’unica direzione, indichino quel cuore che batte nell’Eucaristia come l’unica possibile fonte di vera guarigione, ristabilire la guarigione dell’uomo come qualcosa che non viene dall’uomo, ma viene da Dio. Noi siamo molto attenti a trovare soluzioni giustamente alle grandi domande di oggi – la guerra, la violenza, la crisi economica, la crisi che abbraccia le nostre famiglie, la crisi globale anche climatica – ma ricordiamoci che anche il Santo Padre quando parla di crisi ecologica indica come prima realtà alla base di questa crisi il peccato originale, non è solo una crisi economica, di egoismi dell’uomo, ma la fonte più profonda di ogni vera discrasia a livello antropologico, economico risiede nel peccato originale e l’unico capace di sanare profondamente alla radice questo peccato è il Dio incarnato che incarnandosi rendendosi presente nell’Eucaristia va a guarire le nostre relazioni e ci consente, se scegliamo di seguirlo, di sanare. Mi aspetto che ancora una volta la Chiesa in tutto il mondo indichi come unico Signore e Salvatore Gesù Cristo da cui parte una vera e integrale guarigione per tutti gli uomini.