“Non un dare ma una marea di ricevere gratuitamente”

Se dovessi ricordare la prima parola che ho pensato nel 2014 quando sono salito per la prima volta sul treno bianco sicuramente mi verrebbe in mente panico. Perché, per un ragazzo di 28 anni, salire su quel treno e vedere tutte quelle persone con disabilità è destabilizzante. Dico questo perché siamo stati abituati, purtroppo, a considerare e trattare la disabilità ai margini, una cosa quasi da non considerare o trattare con pietà o abilismo. Invece, viaggiando su quei vagoni, mi sono reso conto che la realtà era quella che mi si presentava davanti. Una realtà che per tanto tempo non ho avuto modo di conoscere e che ora improvvisamente volevo fare mia. Nel panico quindi ho deciso di affidarmi a Maria, visto che proprio da Lei stavo andando.

(Foto: Unitalsi)

Se dovessi ricordare la prima parola che ho pensato nel 2014 quando sono salito per la prima volta sul treno bianco sicuramente mi verrebbe in mente panico. Perché, per un ragazzo di 28 anni, salire su quel treno e vedere tutte quelle persone con disabilità è destabilizzante.
Dico questo perché siamo stati abituati, purtroppo, a considerare e trattare la disabilità ai margini, una cosa quasi da non considerare o trattare con pietà o abilismo. Invece, viaggiando su quei vagoni, mi sono reso conto che la realtà era quella che mi si presentava davanti. Una realtà che per tanto tempo non ho avuto modo di conoscere e che ora improvvisamente volevo fare mia. Nel panico quindi ho deciso di affidarmi a Maria, visto che proprio da Lei stavo andando.

Fare un’esperienza di volontariato con disabili significa innanzitutto conoscere i loro tempi. E le loro esigenze. Significa immedesimarsi nei loro panni e diventare i loro occhi, le loro gambe a volte anche la loro voce. Significa conoscere le loro storie ed immedesimarcisi.
Per quanto possa essere scomodo e lungo, il viaggio in treno permette di iniziare un legame con loro; proprio durante il tragitto infatti ho avuto modo di conoscere le loro esigenze e di approcciarsi a quelle che sono le loro difficoltà. E mi sono reso conto che, prima di una disabilità c’è un essere umano, che ha una personalità ed un carattere. Più tempo passavo su quel treno più percepivo che, dopo tanti anni, avevo capito quale fosse la mia vocazione da cristiano. Quelle frasi, lette tante volte sul Vangelo e sentite troppe volte distrattamente durante la messa tutto ad un tratto iniziavano ad avere un significato ben preciso.

Arrivati a Lourdes il legame poi non fa che crescere e consolidarsi e lì ho scoperto che in realtà il nostro non è solo un dare ma è soprattutto una marea di ricevere gratuitamente. I sorrisi, i grazie, le risate e le lacrime condivise con tutte le persone presenti ti fanno vivere pienamente quella che è la vita cristiana; proprio per questo molti di noi chiamiamo Lourdes il nostro angolo di cielo sulla terra. Non solo perché lì la Vergine si è rivelata ad una ragazza come noi, ma perché in quel luogo si vive pienamente tutto quello che Gesù ci indica.
Più passano i giorni a Lourdes e più il rapporto con i nostri amici si rafforza. Sempre con discrezione si viene a conoscere quella è che loro storia, le loro battaglie quotidiane e di quanto tutti loro aspettino questi giorni per sentirsi, per qualche giorno, uguale agli altri.
Nel frattempo, cerco di raccogliere tutte le emozioni di questi momenti, non voglio perdermene nemmeno una, voglio essere completamente sopraffatto dal momento; mi ritrovo fragile anche io, mi ritrovo con gli occhi lucidi ad accarezza visi e ad essere accarezzato anche io. A volte mi sento come il Samaritano, ma altre volte come il Cireneo perché mi rendo conto che alcune croci, anche se degli altri, sono troppo pesanti da affrontare. Ed allora prego: “Signore dammi la forza. Se vuoi questo io ci sono”.

Uno dei momenti più belli del Pellegrinaggio è sicuramente la processione aux flambeaux. Non nascondo che a stento, molte volte, ho trattenuto le lacrime. Vedere quella folla immensa di persone pregare e cantare Maria è una delle immagini che difficilmente potrò dimenticare. E, nonostante l’Esplanade sia piena all’inverosimile nel momento in cui la Bella Signora si ferma ai piedi della Basilica del Santo Rosario piomba su tutto il Santuario un silenzio magnifico. E mi ritrovo lì, stanchissimo ma inebriato da tutto questo a ringraziare il Signore per avermi scelto tra i tanti a svolgere questo servizio; con tutti i miei limiti e le mie difficoltà.
Mi ritrovo io a ringraziare gli amici per avermi fatto sentire utile, adeguato, vivo. Questo è il bello di un Pellegrinaggio con l’Unitalsi: il continuo confronto con la disabilità non trattata con pietismo ma con lealtà, la gioia che si percepisce anche nei momenti più delicati, i continui sorrisi, le preghiere e i rosari recitati. Ecco allora il vero miracolo che tutti cercano e che sotto la Grotta trovano: la vita!

(*) volontario della sottosezione di Albano e animatore dei pellegrinaggi Unitalsi

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