Come mai la Pentecoste si celebra in rosso?
La risposta è meno scontata di quanto si possa pensare.
Di per sé tutte le liturgie riguardanti le Persone divine avrebbero come colore proprio il bianco: colore della luce originaria, della limpida trasparenza della trascendenza, della regalità, e quindi del sopra, del prima e dell’oltre. Sono bianche le festività del Signore Gesù, quelle della SS. Trinità, ecc.
Il rosso è invece utilizzato per le celebrazioni che riguardano il sangue: le feste degli Apostoli, le memorie dei martiri. A dire il vero c’è una solennità del Signore che si veste di rosso, una solennità così particolare che non ha nemmeno la Messa: il Venerdì Santo. Il Venerdì Santo è rosso perché riguarda il sangue, il Sangue per eccellenza, quello del Dio uomo – come rossa è la festa (ormai resa semplice Messa votiva) che vuole ricordarlo proprio menzionandolo, questo preziosissimo Sangue, e che un tempo si festeggiava il 1 luglio, e proprio questo Sangue, e non un qualche semplicistico accostamento al fuoco, è il motivo per cui la Pentecoste si celebra in rosso.
Dobbiamo risalire all’etimologia: lo “pneuma” (spirito) nell’antropologia ellenistica, tipica del periodo del Vangelo, non era un mero elemento immateriale – quella semmai era la “psiche”, che secondo gli ellenisti si sarebbe dissolta nell’aria al momento della morte. Veniva chiamato “pneuma” il vapore del sangue caldo, o meglio, quel calore vitale che empiricamente si manifestava come vapore quando il sangue veniva sparso, ad esempio nei sacrifici. Questo pneuma veniva identificato con la vita specifica dell’essere in questione, con il suo spirito vitale, avente il suo sangue come vettore. Da qui, più in generale, il calore prese a significare la presenza di una vita, e quindi il mondo intero era un organismo avente un nucleo caldo, di fuoco, che si manifestava in fenomeni come le eruzioni vulcaniche e le pozze termali.
Questa terminologia passò nel lessico della nascente fede cristiana. Quando un cristiano delle origini diceva o scriveva “pneuma”, non intendeva qualcosa di rarefatto, astratto, ma intendeva la vitalità profonda e intima di Dio stesso, che ci dona il suo Santo Pneuma, il suo Spirito, rendendoci concorporei e consanguinei di Cristo: in altri termini, Dio ci innesta nel Corpo del Figlio, e così quello Pneuma, lo Spirito Santo, può circolare anche in noi, perché il Sangue di Cristo circola eucaristicamente nel nostro sangue.
Così si spiega anche perché le “opere” dello Spirito Santo abbiano a che fare, nel Credo apostolico, con il Corpo e con il Sangue: “la santa Chiesa cattolica”, perché il Sangue e lo Pneuma le danno vita e la fanno crescere, “la comunione dei Santi”, perché, in termini squisitamente ellenistici, un corpo era tenuto insieme solo finché in esso circolava il calore dello pneuma, altrimenti si sarebbe decomposto, e lo stesso è per l’unità tra i credenti, “la remissione dei peccati”, che ci è data dal Sangue e dallo Spirito, “la resurrezione della carne” ormai contagiata da questo altro Sangue, “la vita eterna”, che è quella del Corpo e del Sangue ardenti di questo Pneuma.
Lo Spirito Santo è tutt’altro che una realtà eterea, astratta, impersonale, e già nel significato originariamente “anatomico” del Suo nome si vanifica ogni tentativo (tipicamente gnostico) di immaginare una partecipazione a esso che prescinda dalla comunione con il Corpo, perché lo Spirito Santo, quello vero, passa per il Corpo e per il Sangue di Cristo, è lo Spirito di Cristo, e abita in quel Corpo che Egli stesso creò nel seno della Vergine Maria quando ella rispose “Sì!” all’angelo.
Il rosso è allora il colore del sangue, ma anche quello della comunione, cioè dell’amore e della carità, e identifica i martiri non solo per la loro fine cruenta, ma soprattutto per il loro amore, che li ha portati a donare la vita, così come adorna gli Apostoli perché, pieni del Santo Pneuma, ne hanno permesso la diffusione e la circolazione con il loro ministero e con il loro, di sangue – ardore più intenso di qualunque fuoco.