Il lavoro di preparazione fa dimenticare l’enorme emozione per l’attesa della visita di Papa Francesco, nella casa circondariale di Montorio, sabato prossimo. Nell’ambito del viaggio nella diocesi di Verona, il Pontefice ha voluto inserire anche l’incontro con i detenuti. Non è la prima volta che Francesco cerca il confronto con chi sta dietro le sbarre. Come racconta padre Paolo Crivelli, da settembre cappellano della casa circondariale che attende il Papa, i detenuti sono emozionati e impazienti. Di loro assicura: “Hanno bisogno di aver riconosciuta la dignità e di imparare a riconoscerla loro stessi, per sentirsi nuovamente persone umane dal valore infinito come tutte le vita umane”.
Padre, è pronto per accogliere il Papa?
Siamo emozionati ma il lavoro ci permette di non pensarci e andare avanti. È un evento epocale. Visitare le carceri è una qualità di Papa Francesco che dona speranza ai detenuti. Anche loro hanno una dignità, sebbene il mondo civile non la riconosca oppure venga loro negata.
Chi incontrerà il Papa?
Francesco non ha chiesto di incontrare gruppi in particolare, ma solo il maggior numero possibile di persone.
I detenuti come si stanno preparando?
Solo una piccola parte non è interessata. La maggior parte chiede continuamente della visita. La casa circondariale conta oggi 580 detenuti. Con buona parte di loro ci sarà un incontro con il Papa nel campo da calcio e poi a pranzo, preparato in parte all’interno dove abbiamo un forno e in parte con la collaborazione di associazioni e cooperative della zona. I risottari dell’Isola della Scala verranno per esempio a cucinare il risotto, gli chef che hanno già fatto dei corsi con i detenuti saranno qui per il secondo, mentre un’associazione di pasticceri farà la torta e gli allievi della scuola alberghiera si occuperanno del servizio.
I detenuti che conosce di cosa hanno bisogno?
Di dignità. Hanno bisogno di aver riconosciuta la dignità e di imparare a riconoscerla loro stessi, per sentirsi nuovamente persone umane dal valore infinito come tutte le vita umane.
Come descrive questo carcere?
Sono cappellano qui da settembre. Nonostante sia una casa circondariale, dedicata alle pene brevi, di fatto, abbiamo anche gli ergastolani, perciò copriamo un range d’età che va dai 19 anni agli 80. Questo rende complicata la gestione perché i bisogni sono diversi. Una problematica comune è vivere con grande fatica la detenzione e la quantità enorme di detenuti che hanno problemi psichiatrici. La detenzione acuisce la situazione che genera problemi anche a chi psichiatrico non è. La sofferenza da questo punto di vista è tanta; le prospettive all’uscita sono poche e per molti permane la mancanza di speranza.
Qual è l’aspetto più doloroso che nota nella popolazione che è dentro?
Mi rendo conto che ci siano persone per le quali è necessaria la detenzione, perché c’è la pericolosità, ma c’è poca attenzione a fare in modo che il periodo sia di trasformazione. Senza questa fase, il problema sociale si ripropone. È importante conoscere le persone e i percorsi che fanno. Le decisioni possono essere prese sulla carta, ma se non si conoscono le persone e ciò che stanno facendo, le decisioni rischiano di non capire e di essere errate. La detenzione non ha un valore riabilitativo al momento. Oggi è più l’aspetto punitivo a predominare perché si investe poco: il personale e le risorse sono scarse (anche se la polizia penitenziaria fa un ottimo lavoro, spesso di sacrificio) e la costruzione stessa delle carceri è fatta per contenere.
Come cappellano, riesce ad ascoltare tutti?
Coloro che vogliono condividere sì. Hanno molta sete di relazioni e se sentono che c’è la possibilità di confrontarsi, lo fanno.
Rammenta un esempio di successo?
Sono tanti. Ci sono persone che hanno fatto un percorso straordinario prima di entrare e che hanno continuato compiendo una revisione critica, che vivono il dolore del proprio errore. Sono persone straordinarie, di una bellezza unica. Questa è la grande speranza che ci fa dire che il percorso libera. Dipende molto da loro. Sono persone e attraverso la detenzione hanno capito.
E chi non riesce a riconciliarsi con la vita?
Il 75% delle persone detenute ha problemi di dipendenza da droga, alcol e gioco che li porta a commettere reati. La dipendenza trasforma la persona che vede solo l’oggetto della dipendenza. Abbiamo moltissimi stranieri che non hanno o non avranno più, anche usciti di qui, un permesso di soggiorno che rimarranno nel territorio. Questo genera insicurezza, perché come clandestino la persona lavorerà o vivrà in una casa fuori dalla legge. E mi chiedo quale sia il vantaggio per la persona e lo Stato.