Sanità cattolica. P. Arice (Cottolengo): “Gli ‘scartati’? Sono loro i ‘nostri’”

Il Cottolengo di Torino ha ottenuto il marchio di certificazione “Ospedali di Eccellenza 2024”. Per p. Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, la mission è “fedeltà al carisma del fondatore facendosi carico delle fragilità odierne”. Le strutture sanitarie cattoliche non profit, avverte, "devono imparare a fare rete per avere maggiore potere ai tavoli di contrattazione”. E sull’autonomia differenziata: “Si traduca anche in attenzione all’allocazione delle risorse e in vigilanza sul loro utilizzo”

(Foto: Cottolengo/SIR)

L’Ospedale Cottolengo di Torino, accreditato con il Ssn e riconosciuto dalla Regione Piemonte come presidio sanitario, si è posizionato con ottimi risultati nella classifica “Ospedali di Eccellenza 2024”, il primo studio nazionale sulle migliori strutture ospedaliere italiane, condotto dall’Itqf (Istituto tedesco di qualità e finanza). Trattamento medico, igiene, assistenza medica e infermieristica, iniziative sulla qualità, reputazione, servizi al paziente, ricerca i parametri considerati. Il Cottolengo ha quindi ottenuto il marchio di certificazione “Ospedali di Eccellenza 2024”, registrato presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Abbiamo incontrato il padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza – Cottolengo, padre Carmine Arice.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Padre Arice, qual è la “ricetta” che ha portato a questo livello di eccellenza?
Il carisma ricevuto in dono dal nostro fondatore. A tracciare le linee guida è stato proprio il santo Cottolengo, insegnandoci che il bene va fatto bene. Oggi questo significa lavorare in modo competente e qualificato, coniugando ricerca e innovazione per la migliore cura del paziente, nell’assoluto rispetto della dignità di ogni persona, anche la più fragile, e nella convinzione che si possa perseguire l’eccellenza senza trascurare l’indigenza, cioè i poveri. Una sfida che abbiamo accolto fin dalle nostre origini. Poi l’accompagnamento a 360° che offriamo ai malati. Penso alla nostra Breast Unit che prende in carico la paziente dal momento della comunicazione del tumore alla mammella con un’équipe multidisciplinare – di cui fanno parte anche lo psicologo e l’assistente spirituale – e la segue anche a domicilio dopo l’intervento chirurgico.

Dare risposte alla sola domanda di salute non basta: occorre farsi carico anche della domanda di senso che accompagna la nostra vita,

tanto più in una condizione di malattia. Infine, il lavoro di squadra, la collaborazione finalizzata al perseguimento del medesimo obiettivo.

Quest’anno le celebrazioni del 30 aprile, festa di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, coincidono con il 90° della sua canonizzazione: come viverne oggi il carisma?
Papa Francesco ci invita a non conservare i carismi dei fondatori in un museo, ma a farli incontrare con la realtà. Non dobbiamo ripetere quanto fatto dal Cottolengo, ma operare con il suo stesso spirito prendendoci cura delle fragilità odierne, in particolare gli anziani e gli anziani con disabilità, emergenza nell’emergenza perché si tratta delle persone più trascurate.

Il nostro Ssn è a rischio. Con una spesa sanitaria pubblica tra le più basse d’Europa – nel 2023 appena il 6,7% del Pil -, mentre l’out of pocket ha sforato i 40 miliardi e 1,6 milioni di famiglie hanno rinunciato a curarsi, secondo il Centro ricerca economica applicata alla sanità, per la tenuta del Ssn servirebbero almeno 15 miliardi in più.
Purtroppo la modifica del Titolo V, che nel 2001 ha trasferito la competenza sanitaria in capo alle Regioni, ha di fatto creato 21 sistemi sanitari diversi. Le Regioni si ritrovano a gestire finanziamenti destinati alla sanità ma c’è da chiedersi se queste risorse vengano sempre effettivamente investite in ambito sociosanitario o non vengano, almeno in parte, dirottate altrove, oppure non vengano spese in maniera “efficiente”. Mi chiedo se l’applicazione dei Lea possa essere lasciata alle Regioni o non debba avere un’attenzione più a carattere nazionale. In ogni caso,

ci vorrebbe forse una vigilanza maggiore, un sistema di controllo della spesa.

(Foto Cottolengo /SIR)

Inoltre le scarse risorse pubbliche dovrebbero essere concentrate sulle priorità del Paese, come il bene primario della salute, e non distolte per la realizzazione di grandi opere di dubbia utilità… L’investimento in sanità – e quindi anche in prevenzione – migliorando la salute della popolazione ridurrebbe automaticamente la spesa sanitaria.

Un ulteriore aggravio di spesa è costituito dall’aumento a dismisura degli accertamenti e degli esami causato dalla medicina difensiva…
Un fenomeno che in Italia fa bruciare ogni anno diversi miliardi. Per me alla base c’è però un discorso molto serio: dal punto di vista antropologico siamo di fronte ad una profonda crisi della coscienza. Si possono fare tutti i controlli e le norme di questo mondo, ma se manca una coscienza retta e formata negli operatori e nei diversi soggetti della società, tra cui anche politici e amministratori, non andiamo da nessuna parte.

Un Paese che ha bisogno di moltiplicare regolamenti e controlli è in pericolo perché vuol dire che la coscienza personale fa fatica ad ispirare e orientare i comportamenti, in primis una corretta ed equa gestione della cosa pubblica.

Tornando al tema sanità, le disuguaglianze nord-sud in termini di diritto alla salute verrebbero acuite dall’autonomia differenziata?
Il rischio c’è ma torno al discorso di prima. Il sud ha ricevuto finanziamenti, ma non sempre sono stati impiegato in modo corretto ed efficiente. Sono state messe in piedi strutture spendendo miliardi, mai aperte. Forse, oltre che dare soldi, bisognerebbe anche vigilare sul modo in cui vengono spesi o, addirittura, se vengono spesi. Poi è ovvio che c’è un tema di solidarietà per cui le Regioni che arrancano non vanno “abbandonate” e servono strumenti per ridurre le disuguaglianze di accesso ai servizi sanitari, ma

sarebbe opportuno che questa riforma si traducesse anche in attenzione all’allocazione delle risorse e in vigilanza sul loro utilizzo.

Che significa oggi essere una realtà sanitaria non profit?
Noi abbiamo un’ottima collaborazione con la Regione Piemonte, tuttavia paghiamo lo scotto di un’applicazione solo parziale del principio di sussidiarietà. Il privato non profit come il nostro non può essere considerato alla stregua del privato profit; è una disparità di trattamento pur con un’offerta pari a quella del pubblico.

(Foto Cottolengo/SIR)

Come vede il futuro della sanità cattolica? Quali i punti di forza e le sfide da affrontare?
La sanità cattolica avrà un futuro se continuerà – o si riconvertirà – a prendersi cura delle fasce più indigenti. Esistono realtà di cui nessuno vuole occuparsi; dobbiamo cominciare a farcene carico. I carismi sono nati in risposta ad una domanda che rimaneva inevasa. Il Fatebenefratelli è nato quando San Giovanni di Dio ha deciso di prendersi cura dei malati di mente, abbandonati o curati male. Oggi, come sanità cattolica, dovremmo chiederci:

chi sono le vittime della cultura dello scarto di cui parla Papa Francesco? Questi, devono essere i “nostri”.

Inoltre, anziché tentare di imitare realtà che puntano tutto sul binomio efficienza-efficacia, dobbiamo puntare sulla cura integrale della persona altrimenti non saremo più significativi. Fuori dal nostro ospedale non rimane nessuno perché nel 2016, all’interno della struttura ospedaliera, è stato istituito l’ambulatorio “Dottor Granetti” – dal nome del primo medico che aiutò il Cottolengo – un servizio gratuito rivolto ai più disagiati della città, nato per gli immigrati ma oggi frequentato anche da molti italiani. La nostra sfida non è come rifondere il rosso di bilancio, ma capire se nasce da mala gestione – e allora occorre applicare dei correttivi – oppure da impiego “carismatico” delle risorse in linea con la nostra “missione”. In questo caso interviene la Provvidenza, come accade con le generose donazioni che riceviamo per il “Granetti”.

Quanto è importante fare rete?
Fondamentale. Noi, istituti sanitari non profit gestiti da congregazioni ed enti religiosi, dobbiamo imparare a farlo. È finito il tempo in cui ciascuno poteva arroccarsi sul proprio carisma: abbiamo un carisma comune, la cura, intorno al quale convergere e fare rete unendo competenze e risorse anche per avere maggiore potere ai tavoli di contrattazione.

Per noi, che ci prendiamo anche cura gratuitamente dei poveri, essere trattati come il privato profit è penalizzante.

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