A 200 giorni da quel 7 ottobre 2023, non accenna a calare l’intensità della guerra a Gaza. Anzi, lo scacchiere del conflitto si sta allargando al nord di Israele, al confine con il Libano, dove si susseguono i lanci di razzi e bombardamenti tra Hezbollah e Esercito israeliano, lo scambio di droni e missili con l’Iran e gli Houthi dallo Yemen. Nel contempo le popolazioni civili continuano a soffrire, soprattutto a Gaza, dove gli abitanti devono fare i conti con la mancanza di aiuti, di ospedali, di medicine, di case, in larga parte distrutte o danneggiate, di lavoro.
Abbiamo chiesto a padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, di fare un punto sulla situazione. Padre Ibrahim è dall’inizio della guerra impegnato a sostenere i bambini gazawi feriti e a portarli in Italia per le cure in accordo con il Ministero degli Esteri.
Padre Faltas, sono trascorsi 200 giorni di guerra e non se ne vede una fine, una possibilità per un cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi israeliani, il sostegno umanitario alla popolazione civile…
Da 200 giorni la guerra si è impadronita della morte e della vita in Terra Santa. I numeri aumentano senza sosta: i morti sono più di 34.000, i feriti quasi 77.000, non si conta chi è rimasto sotto le macerie, non si riesce a contare il numero delle case, degli ospedali e di tanti altri edifici distrutti. I fronti di guerra interessano una vasta aerea di questa martoriata terra: continua la guerra a sud con Gaza, a nord si allarga il conflitto con il Libano, ci sono stati scambi di attacchi con l’Iran. Da Gaza arrivano missili su Israele che minaccia un attacco a Rafah che si prevede devastante. Durante questi 200 giorni, chi è riuscito a sopravvivere ha sopportato dolori e sofferenze, ha dovuto affrontare necessità urgenti per sopravvivere.
Ma per mettere fine a questo ultradecennale conflitto, da dove, o da chi, è necessario ripartire?
Gerusalemme rimane il punto centrale del conflitto,
ne parlava San Giovanni Paolo II che affermava che ci sarà pace nel mondo, se ci sarà pace a Gerusalemme.
Abbiamo vissuto in sequenza, in questi ultimissimi mesi, la Pasqua cristiana, il Ramadan e adesso Pesach, la Pasqua ebraica. Feste religiose segnate da paura e amarezza invece che da gioia e preghiera. Cosa possono fare le tre fedi presenti in Terra Santa per allentare la tensione e aiutare i fedeli a rivolgere lo sguardo al Dio della pace?
Innanzitutto fare propri gli appelli di pace, valore universale, che arrivano in continuazione da Papa Francesco. Nella Terra che è Santa per le tre religioni monoteiste si sono succedute le principali feste religiose che sono attese di anno in anno per gioire, per pregare, per vivere le rispettive fedi. In questi 200 giorni noi cristiani abbiamo vissuto il Natale e la Pasqua con i tempi forti che li precedono, i musulmani il mese del Ramadan e gli ebrei stanno festeggiando la loro Pasqua, la Pesach. Ogni fedele di queste religioni non ha avuto la gioia dell’attesa e lo spirito predisposto alla serenità per accogliere festività importanti che segnano il trascorrere e la cadenza di tempi significativi. Ogni abitante di questa Terra ha vissuto questi 200 giorni nella paura e nell’amarezza. Paura perché la violenza e l’odio non si fermano, amarezza perché nessuno ferma la guerra, nessuno di coloro che ha potere di farlo ascolta gli appelli di Papa Francesco e le grida silenziose dei bambini uccisi e feriti.
A proposito di pace, il prossimo 18 maggio Papa Francesco sarà presente a Verona ad un evento intitolato “Arena di pace”, dove incontrerà e dialogherà con varie realtà della società civile, associazioni e movimenti presenti in Italia…
Sì, e in quel giorno il Santo Padre benedirà una enorme statua di Cristo Risorto che abbraccia, e viene a sua volta abbracciato, dall’umanità. Sarà posta sul punto più alto della Terra Santa School di Gerusalemme e sarà visibile da tutta la città come segno del desiderio di pace della Città Santa e del mondo.
Vuole essere anche un monito per ricordare con forza che la causa principale delle guerre è il commercio delle armi. Ogni Stato del mondo è coinvolto nello scandaloso commercio delle armi: chi le produce, chi le acquista, chi le offre come regalo di morte a stati alleati. La gente semplice, i bambini, gli indifesi non hanno armi fra le mani ma sono coloro che subiscono le conseguenze terribili di questo commercio.
Di cosa ha bisogno oggi il mondo per scongiurare guerre e conflitti devastanti? La politica fatica a trovare una strada, gli interessi particolari delle nazioni prevalgono su quelli dei popoli e potremmo continuare a lungo…
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Il mondo, la comunità internazionale, ha bisogno del coraggio di Papa Francesco! Che sia contagioso per il mondo intero! Uniti a Lui, possiamo implorare e pregare. Con coraggio possiamo chiedere che i governanti si impegnino a proteggere gli oppressi
e a dare solidarietà alle vittime innocenti attraverso il disarmo e la tutela dei diritti umani essenziali. Lasciamoci illuminare dal Vangelo, soccorriamo chi ha sete, chi ha fame, chi è oppresso dalla violenza per essere soprattutto operatori di pace e non fabbricanti di morte.