Carceri. Don Grimaldi: “Con il convegno nazionale invitiamo a combattere l’indifferenza per promuovere la cura”

L’iniziativa, promossa dall’Ispettorato generale, si terrà dal 24 al 27 aprile e vedrà coinvolti cappellani, diaconi, consacrate, volontari e operatori tutti nel mondo carcerario. Interverranno, tra gli altri, il card. Zuppi, don Pagniello, il procuratore Cantone

Foto Calvarese/SIR

È tutto pronto per il quinto convegno nazionale dei cappellani e degli operatori della pastorale penitenziaria che si svolgerà ad Assisi dal 24 al 27 aprile. Il tema prescelto per l’evento promosso dall’Ispettorato generale dei cappellani nelle carceri italiane, che ha una cadenza biennale, è “‘Lo vide e ne ebbe compassione. (Lc 10,33). Dall’indifferenza alla cura” e vedrà coinvolti cappellani, diaconi, consacrate, volontari e operatori tutti nel mondo carcerario. Don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, ci presenta il convegno nazionale.

foto SIR/Marco Calvarese

Don Raffaele, perché avete scelto questo tema per il convegno nazionale?

È un tema un po’ provocatorio perché il carcere resta molte volte un ambiente marginale, isolato, verso il quale c’è indifferenza da parte della gente. Il convegno vuole lanciare un appello: passare dall’indifferenza alla cura di quelle persone che sono “marchiate” e vivono attualmente in carcere, certamente perché hanno fatto scelte illegali, ma questo non significa che dobbiamo emarginare persone che possono essere recuperate. Tutto il convegno nazionale è orientato verso questo passaggio fondamentale dall’indifferenza alla cura, da un atteggiamento negativo a uno positivo.

Declinerete questo tema attraverso relazioni e tavole rotonde, ad esempio Raffaele Cantone, procuratore della Repubblica di Perugia, parlerà de “La funzione rieducativa della pena e la funzione del carcere”.

Con questo convegno vogliamo ribadire che il carcere non può essere il luogo dove si calpesta la dignità umana. Il carcere ha la funzione rieducativa, grazie a tutto il percorso che si fa all’interno dei nostri istituti penitenziari, attraverso la scuola, il lavoro, la religione, gli incontri con il mondo del volontariato. Se tutto questo viene meno e con esso la funzione rieducativa, abbiamo fallito il nostro obiettivo. Nel nostro convegno ribadiamo che il carcere non deve essere il luogo dell’oppressione, ma il luogo della rinascita, dove la persona viene rieducata affinché possa uscire dal carcere pienamente rinnovata.

Durante il convegno parlerete anche di Giubileo nelle carceri: avete già idea di cosa farete negli istituti l’anno prossimo?

No, vogliamo prima aspettare il convegno e cosa uscirà dai gruppi di lavoro per capire come meglio noi potremo vivere il Giubileo nelle carceri. Nel Giubileo della misericordia Papa Francesco ha stabilito che anche le carceri avessero la Porta santa, adesso aspettiamo la bolla di indizione di Papa Francesco per il Giubileo 2025, che sarà resa pubblica a maggio, per capire come si svolgerà l’Anno Santo per il mondo del carcere. Certamente, anche il carcere sarà coinvolto in questo grande evento ecclesiale e spirituale: il Giubileo coinvolgerà tutti i detenuti delle carceri non solo italiane ma di tutto il mondo.

Per l’Anno della Preghiera che stiamo vivendo adesso ci sono delle iniziative?

Ho rivolto un messaggio a tutti i cappellani e operatori affinché all’interno dei nostri istituti penitenziari possano nascere delle scuole di preghiera. Già in molti istituti, indipendentemente dalla preparazione al Giubileo, si vivono queste esperienze di preghiera, di ascolto della Parola di Dio. Ho chiesto a cappellani, diaconi, religiose, volontari di promuovere ancora di più le scuole di preghiere negli istituti penitenziari, durante l’Anno della Preghiera, per meglio prepararci al Giubileo.

Tra i temi affrontati al convegno ci sarà anche quello sulla giustizia riparativa.

Quando si parla di giustizia riparativa s’intende un cammino culturale. Non è facile parlare di giustizia riparativa in ambienti in cui si punta il dito, dove il giudizio vuole distruggere la persona. Ma la giustizia riparativa non deve intendersi come uno strumento di clemenza, piuttosto come giustizia che aiuta il trasgressore ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti della vittima e della comunità, attraverso l’incontro e il dialogo. La giustizia riparativa è un processo, un cammino, è un educare l’altro all’incontro. Non è facile far incontrare la vittima con il reo. Durante il convegno proporremo una riflessione su come noi all’interno del carcere, come animatori pastorali, come volontari, possiamo aiutare a promuovere la giustizia riparativa. Ci sono già tante strutture che fanno dei percorsi, ma è sempre poco.

Venerdì 26 aprile ci sono due ospiti importanti: il card. Matteo Zuppi e don Marco Pagniello, che interverranno alla mattinata dedicata a “Cappellanie e uffici di pastorale carceraria”.

Vogliamo capire come vivere l’esperienza del Vangelo nel carcere, promuovendo negli istituti le cappellanie.

Questo rappresenta il futuro: il cappellano accompagna il cammino spirituale e promuove l’azione pastorale, ma rischia a volte di essere solo. La cappellania non è altro che un gruppo pastorale all’interno di ogni istituto affinché la pastorale carceraria possa coinvolgere tutte le persone all’interno del carcere, senza isolare il cappellano. Nelle cappellanie il cappellano dovrebbe essere il moderatore, ma è importante che sia affiancato da diaconi, religiose, volontari, in modo che non si senta solo nel promuovere l’annuncio del Vangelo.

Gli uffici di pastorale carceraria sono presenti in tutte le diocesi?

Non tutte le diocesi hanno gli uffici di pastorale carceraria, ma l’idea è di aiutare i vescovi a organizzare questi uffici, anche nelle diocesi dove non c’è il carcere, perché i detenuti sono figli di tutte le diocesi. Promuovere gli uffici di pastorale carceraria può essere una grande occasione affinché la pastorale carceraria sia un tema vissuto all’interno delle nostre diocesi e non sia una questione delegata al solo cappellano del carcere, ma dove tutta la diocesi deve camminare con questa attenzione particolare verso il carcere.

L’ultima giornata del convegno l’avete intitolata: “Andate per curare l’indifferenza”. C’è stata il 18 aprile una manifestazione dei garanti delle persone private di libertà per riaccendere i riflettori sui problemi delle carceri a un mese dall’appello di Mattarella…

Stiamo vivendo un tempo difficile per le nostre carceri, ognuno cerca di fare la sua parte per richiamare l’attenzione sulle difficili condizioni delle carceri, come dimostrano la manifestazione dei garanti, le parole di Mattarella, la vicinanza della Chiesa italiana, l’impegno costante dei cappellani, del mondo del volontariato e delle cooperative. Tutti noi siamo chiamati a stare vicino a questa porzione di popolo che vive in sofferenza. Per questo vogliamo anche che alla fine del nostro convegno tutti gli operatori vadano a curare l’indifferenza. Il nostro è un “mandato missionario”. Oggi il carcere è ancora un luogo escluso dal resto del mondo “di fuori”, ci sono persone che vorrebbero il carcere confinato su un’isola lontana.

Noi vogliamo combattere l’indifferenza, curarla.

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