“Rilanciare il patto educativo globale, sviluppare alleanze e reti educative, attuare libertà di educazione e diritto allo studio, realizzare un’effettiva parità per famiglie, studenti e personale”. Sono queste, per mons. Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università della Cei, le sfide più urgenti sulle quali occorre concentrare gli sforzi. Nel suo intervento alla giornata conclusiva del Convegno nazionale degli Uffici per la pastorale della scuola e dell’Irc che si è svolto dal 15 al 17 aprile a Salerno sul tema “Si avvicinò e camminava con loro”, il presule ha richiamato l’Esortazione apostolica post sinodale Christus vivit, ma non solo. Sullo sfondo l’iniziativa di Papa Francesco Scholas Occurentes e la Gmg di Lisbona. E’ necessario, il monito di Giuliodori,
“rischiare proposte forti e coraggiose con intraprendenza e intelligenza, per uscire dal nostro perimetro educativo che troppo spesso si declina nel conservare e difendere posizioni acquisite”.
Così l’inquietudine e le domande sofferte dei giovani diventano “una risorsa”. Nel riprendere il discorso del Papa all’Università cattolica del Portogallo-Lisbona (3 agosto 2023), il presule ha rilanciato “l’urgenza di portare sempre più i ragazzi all’interno di una corresponsabilità rispetto alla grande questione antropologica, rendendoli protagonisti di un atteggiamento che possa portare novità rispetto alle grandi sfide sociali, climatiche, politiche ed economiche”.
Ma come accostarsi a loro? Ha portato la propria esperienza di insegnante Marco Erba, che è anche autore di libri sull’adolescenza e la scuola: “Occorre anzitutto andare oltre la maschera che ciascuno studente indossa” e “raccogliere la loro provocazione come un messaggio che spesso nasconde ferite non sanate o sofferenza”. Ai docenti l’invito a “coltivare uno sguardo capace di trovare il bene che c’è”, e a chiedersi: “Siamo in grado di coltivare la speranza?”. Ai genitori, infine, Erba chiede di “mettersi di fianco ai figli e non davanti, scommettendo sulla libertà adolescenziale, vissuta però nella responsabilità”.
Il ruolo degli Idr. Per don Paolo Asolan, preside del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense, è sempre più necessario “ricollocare l’uomo nella prospettiva della sua irriducibile umanità.
Dimensione da cui l’odierna concezione della vita si va progressivamente allontanando”. In questo orizzonte il ruolo degli insegnanti di religione diventa strategico, dal momento che la fede cristiana “centra ogni aspetto dell’esistenza”. L’ora di religione non può pertanto “essere un momento in cui parlare di altro”, ma un’occasione per “orientare il sapere verso la Verità, verso qualcosa per cui vale la pena spendere la vita”.
Vivere in prima persona. La scuola “può essere un grande cantiere per esprimere un senso di speranza e di umanità di cui c’è sempre più bisogno.
La Chiesa deve trasmettere ai giovani la capacità di vivere in prima persona e di non lasciarsi vivere dalle tante ipnosi collettive attuali. Prima fra tutte, quella rappresentata dai social”.
Ne è convinta Giuseppina De Simone, docente di Filosofia della religione nella Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale e membro della Presidenza del Comitato del Cammino sinodale delle Chiese in Italia. “Inestimabile – ha proseguito – l’apporto che può venire da chi, come gli insegnanti di religione, lavora nella scuola e intercetta per primo le domande di vita dei giovani, i loro desideri, i loro sogni, in cui spesso si nasconde il soffio, l’intuizione dello Spirito”.
“Essere disponibili alla novità dello Spirito”. Questa, sulla stessa linea, l’esortazione di mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, nell’omelia della messa celebrata nel duomo della cittadina campana. “La partita con Dio – ha assicurato – non è mai chiusa nel cuore delle persone, che vanno aiutate a porsi le domande giuste, piuttosto che fornire le risposte”. Primi fra tutti i giovani, nei cui confronti “la vasta opera educativa degli insegnanti di religione non può che avere come obiettivo quello di far conoscere Gesù. Perché solo attraverso quest’incontro la vita di ciascuno entra in un dialogo inquieto e fecondo con la propria esistenza”.
Comunità di testimoni. “Molti punti ci uniscono alla pastorale della scuola e agli insegnanti di religione”, ha osservato da parte sua don Riccardo Pincerato, responsabile Servizio nazionale della Cei per la pastorale giovanile. Anzitutto “la credibilità, sia come testimoni di fede, che di vita, per cui siamo chiamati a rendere ragione della fede che è in noi”. Quindi “l’educabilità, ovvero la consapevolezza che il giovane può insegnarci dandoci uno scorcio di fede, di Chiesa, e che egli non è un vaso da plasmare, ma un volto che c’interpella”.
Infine “la necessità di umanizzare l’umano, ovvero non dare per scontato che tutto quanto deriva dall’uomo sia buono in sé”. “I giovani oggi sono in minoranza”; per questo occorre “raccogliere la loro voce, anche se incerta, o stentata, farsene carico in ogni contesto e diventare, parrocchia e scuola insieme, una comunità di testimoni. Una rete basata sull’appartenenza, capace di
dare ai giovani la possibilità di scoprire chi sono e, soprattutto, aiutarli a comprendere chi vorranno essere”.
Irc come modello di alleanza educativa. Per Ernesto Diaco, direttore degli uffici Unesu e Irc, che ha concluso i lavori, la strada da seguire è quella di “una pastorale pensata per la scuola corale, diversificata, fuori dai consueti canali; non quella di una pastorale della Chiesa calata nella scuola”. Occorre allora “adottare un cambiamento di narrazione del servizio dell’Irc, insistendo sul modello di alleanza educativa da esso rappresentato, per
farsi prossimi ai giovani senza nessun intento di proselitismo, ma con il fine profondamente educativo di accompagnarli nel mondo degli adulti”.