I migranti forzati, oggi, si trovano a dover attraversare “rotte sempre più pericolose, anche per effetto di politiche sbagliate che si perseguono con determinazione”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, intervenuto alla presentazione del Rapporto annuale 2024 del Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), che nel 2023 ha accompagnato circa 11mila persone a Roma e 22mila in tutto il territorio nazionale, nelle sedi di Bologna, Catania, Grumo Nevano, Vicenza, Padova, Palermo e Trento. Nel mondo, ha ricordato il primo cittadino della Capitale, “i migranti forzati sono arrivati alla cifra record di 110 milioni, anche per l’assenza di canali di ingresso legali e sicuri che costringono i migranti ad affidarsi ai trafficanti”. Senza contare, poi, “le lungaggini burocratiche che rallentano le richieste di protezione”. Il risultato, ha commentato Gualtieri, è che “nel 2023 i sono stati 8.500 morti sulle rotte dei migranti e 3.000 vittime nel Mediterraneo, con una media di 8 morti al giorno”. Di qui il ringraziamento di Gualtieri al Centro Astalli per le attività “di accoglienza, protezione, promozione a tutti quanti fuggono dai loro territori in crisi e approdano nel nostro Paese dopo esperienze drammatiche, come torture e violenze, che lasciano cicatrici profonde”. Da parte sua, il Comune di Roma, anche in vista del Giubileo, “sta rafforzando il suo impegno per un’accoglienza sempre più personalizzata ai migranti, con progetti di inclusione urbana, come lo Sportello Unico di Accoglienza di Migranti, e percorsi più strutturati per favorire la formazione, i tirocini lavorativi e l’inserimento in autonomia”.
“In Europa assistiamo a un arretramento nel diritto d’asilo”.
A denunciarlo è stato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, secondo il quale il recente Patto sulla migrazione e l’asilo, approvato da pochi giorni dal Parlamento europeo, “sancisce un arretramento rispetto al diritto di asilo, perché – come hanno dimostrato fatti e situazioni nel corso del 2023 – non è attraverso l’esternalizzazione, i respingimenti, la mancanza di una vera politica di soccorso in mare e le procedure accelerate alla frontiera che si affronta il fenomeno migratorio”. “Complessità non è sinonimo di complicazione”, ha precisato il gesuita:
“Non si affronta quello che è considerato il problema migratorio rimuovendo le persone dal suolo europeo, ma rimuovendo le cause delle migrazioni forzate”.
“È affrontando insieme, in modo propositivo, il fenomeno migratorio che lo si rende una risorsa, non affrontandolo ogni Stato per sé e in modo difensivo”, la proposta del Centro Astalli, secondo cui “con il nuovo Patto europeo abbiamo perso un’occasione”. Per quanto riguarda l’Italia, “ricorderemo il 2023 come l’anno della decretazione d’urgenza sulle migrazioni”, ha osservato Ripamonti denunciando “un progressivo impoverimento dell’accoglienza” che ha caratterizzato l’anno appena trascorso. Su un totale di 235 persone accolte dal Centro Astalli a Roma, 1 su 6 è stata vittima di tortura e violenza e 1 su 6 ha una vulnerabilità sanitaria. “Esiste anche una vulnerabilità più nascosta – ha commentato il gesuita – spesso legata a traumi vissuti e non ancora elaborati: per emergere ed essere indirizzata verso un percorso di cura ha bisogno di tempo, attenzione e di un’accoglienza progettuale adeguata in termini di spazi e modalità. Pensare di riservare un’accoglienza progettuale solo ai vulnerati espliciti condanna le persone con vulnerabilità invisibili ad andare incontro inesorabilmente al loro destino di persona vulnerate”.
“Collaborazione, non conflittualità con le istituzioni”.
E’ questa la “rotta” da seguire per affrontare la questione dei “transitanti”, ossia dei migranti che scelgono la rotta balcanica per approdare nel nostro Paese e poi trasferirsi in Paesi limitrofi, dove hanno magari parenti o conoscenze. Ne è convinto mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, città dove dal 3 al 7 luglio si svolgerà la 50ma edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia. Mons. Trevisi è arrivato da vescovo a Trieste un anno fa, e definisce quella che è ormai la sua città “una terra di frontiera, dove non c’è un confine vero, ma un confine poroso di gente che ha convissuto insieme per secoli e che poi le ideologie nazionaliste hanno portato a farsi la guerra, e a guerre civili con conseguenze inimmaginabili”. E proprio la città dove convivono popolazioni latine, slave e germaniche, oggi è diventata il punto d’approdo di una rotta percorsa da tanti giovani e giovani famiglie con bambini. Il punto di ritrovo è piazza Libertà, dove c’è la stazione e dove si ritrovano tanti migranti – due terzi dei quali non si lasciano registrare – e tanti aspettano il treno per ripartire verso altri Paesi, come la Germania o la Francia. Per loro, proprio in Piazza della Libertà è stato allestito un dormitorio, e ora la diocesi ha allestito un nuovo dormitorio notturno, grazie all’aiuto di 130 volontari che fanno a turno per distribuire un pasto e dei vestiti e per garantire le cure mediche essenziali, in collaborazione con altre persone della società civile che operano su quella stessa piazza. Tra le questioni più complesse e controverse da affrontare a Trieste c’è quella del Silos, un ex magazzino di gramaglie nel vecchio porto austriaco già utilizzato come centro per i profughi provenienti all’Istria, dalla Dalmazia e dal Fiume. “Oggi è un luogo fatiscente”, ha raccontato il vescovo: “quando c’è la bora scura diventa tutto fango, e sopra le volte ci sono le tende. E’ una piccola favela a fianco del centro”. Quasi tutti i migranti che occupano il Silos sono registrati alla Questura: “Hanno diritto ad essere accolti dal nostro sistema di protezione, ma non essendo sbarcati dalle navi non c’è nessun automatismo che porta a trasferirli in altre città”, la denuncia del presule.