Con i media dei cattolici un investimento sul pensiero

Se oggi vogliamo incarnare e testimoniare la bellezza dell’esperienza cristiana, pur con tutti i limiti del nostro essere uomini e donne, non possiamo non stare, da credenti e con i nostri mezzi, nel mondo dei mass media. Lo avevano capito tanto tempo fa quanti ci hanno preceduto. Può essere cruciale anche in questi anni così convulsi e tumultuosi. A noi spetta una lettura della realtà alla luce del Vangelo, per portare una parola di speranza a chi si sente perduto. Per farci compagni di viaggio alla maniera dei discepoli di Emmaus. Altri scopi non abbiamo, ma a questo non possiamo rinunciare. Ne andrebbe della nostra missione e anche della nostra vocazione

Foto Calvarese/SIR

La domanda ricorre di continuo nei nostri ambienti ecclesiali: ha ancora senso che la Chiesa continui a investire nei mezzi della comunicazione sociale? Non sono risorse che potrebbero essere indirizzate altrove, magari verso i poveri? Con i mezzi digitali di cui disponiamo, con l’intelligenza artificiale che sostituirà diverse abilità umane, le nostre Chiese locali – e anche la Cei – si devono ancora impegnare in prima linea in questo delicato snodo rappresentato dai mass media?
Per cercare di proporre qualche risposta credo sia importante tornare alle origini di questo impegno dei cattolici nella vita sociale del nostro Paese. Eravamo sul finire del 1800, con i credenti fuori dalla politica attiva. Rimaneva da occupare qualche spazio in ambito sociale, nel cosiddetto “pre-politico”. Nacquero le Casse rurali, le cooperative e tantissimi fogli di ispirazione cristiana. Tutte opere presenti anche oggi, che hanno resistito nei decenni al mutare dei tempi.

Noi siamo figli di quella tradizione che definire gloriosa è riduttivo. Cosa poteva voler dire arrischiare un giornale a fine Ottocento? Con quali risorse? Con quali energie? Per quale pubblico?
Domande ingombranti, allora come oggi. Ma non meno gravide di preoccupazioni rispetto al 2024.
C’erano, in quel periodo, più o meno risorse? C’erano più o meno lettori? C’era il desiderio di stare in mezzo all’agorà, il motore di ciò che mettiamo in pagina tutti i giorni.

Valgono ancora queste motivazioni? Me lo domando in ogni istante, ancora di più da tre anni, da quando a Cesena, Faenza e Ravenna abbiamo deciso di mettere insieme le forze per creare un unico giornale interdiocesano in tre edizioni e con tre redazioni, senza abbandonare le testate storiche. Se non avessimo questo strumento, ancora cartaceo, quale voce avrebbero le nostre Chiese locali? Quali le priorità messe all’ordine del giorno? Quali gli interessi cui la comunità cristiana pone attenzione?
Ma poi – molti potrebbero obiettare – tutti si informano online, che bisogno c’è del giornale di carta? Roba da vecchi, di un’altra epoca. Noi, come voi, siamo molto presenti anche in rete. Ma, dobbiamo dircelo, ci siamo grazie alla vitalità del giornale di carta che assicura le risorse per essere presenti, e ci permette di arrivare a tutti, anche a chi online non va, in maniera professionale e non volontaristica. Vogliamo abitare il territorio digitale con il nostro punto di vista. Quello di chi guarda il mondo attraverso l’esperienza che ha incontrato, che dà senso alle nostre giornate e anche al nostro modo di lavorare.
Se oggi vogliamo incarnare e testimoniare la bellezza dell’esperienza cristiana, pur con tutti i limiti del nostro essere uomini e donne, non possiamo non stare, da credenti e con i nostri mezzi, nel mondo dei mass media. Lo avevano capito tanto tempo fa quanti ci hanno preceduto. Può essere cruciale anche in questi anni così convulsi e tumultuosi. A noi spetta una lettura della realtà alla luce del Vangelo, per portare una parola di speranza a chi si sente perduto.
Per farci compagni di viaggio alla maniera dei discepoli di Emmaus. Altri scopi non abbiamo, ma a questo non possiamo rinunciare. Ne andrebbe della nostra missione e anche della nostra vocazione.
Raccattare qualche spazio nei media cosiddetti laici o qualche comparsata televisiva, dove spesso si rischia la strumentalizzazione o l’accostamento poco opportuno, non equivale ad avere strumenti propri che vengono gestiti con responsabilità e attenzione alla persona. Vale per noi, vale per le banche, vale per le cooperative. Era ben chiaro oltre un secolo fa, spero si possa ribadire anche oggi. Le risorse impiegate non sono costi, ma investimenti in carità culturale sempre più necessaria in una società che riduce il pensiero a un reel. Ad Avvenire il compito di continuare ad alimentarla nel dibattito nazionale e ai settimanali cattolici, grazie anche al supporto dell’agenzia Sir, in quello locale.

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