Riprende la causa di canonizzazione di Giuseppe Canovai, già Servo di Dio, nato a Roma il 27 dicembre 1904 da Luigi Canovai, impiegato, e da Egeria Pezzolli, figlia di un sediario pontificio. Giuseppe era un ragazzo semplice e buono, ebbe una buona educazione umana e cristiana e fin da subito si formò ad una seria ascetica che lo abituò presto ad un uso del suo tempo e alla penitenza. Fin da ragazzo imparò a controllare il proprio lavorio interiore, annotando quotidianamente i fatti salienti della vita interiore ed esteriore in un diario. Fu molto legato alla famiglia Beltrame Quattrocchi e a Enrichetta in particolare come testimonia un corposo carteggio dei primi anni di guerra. Nel 1924, morto il padre, dovette abbandonare gli studi per un impiego che, tuttavia, lasciò procurandosi la copertura economica nell’ospitare in casa giovani studenti.
Durante un corso di esercizi spirituali, si rese conto che il Signore lo voleva sacerdote. Attratto dalla spiritualità della Compagnia di Gesù, non poté abbracciarla perché figlio unico di una madre vedova che necessitava di cure.
Iscrittosi quindi ai corsi di Teologia della Pontificia Università Gregoriana, con l’aiuto del padre spirituale, Padre Enrico Rosa sj, ebbe l’opportunità di entrare nell’Almo Collegio Caprinica, dove il 3 maggio 1931 venne ordinato sacerdote.
Dopo aver svolto il ministero sacerdotale in vari ambienti, fu chiamato come minutante nella Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi.
Nel 1936 si imbatté nell’Opera “Familia Christi” da cui trasse un ideale nascente che gli prospettò la possibilità di darsi tutto al Signore con i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, pur rimanendo sacerdote diocesano. L’anno seguente ebbe la nomina di Assistente Diocesano della F.U.C.I. Ottenne, dispiegando tutto il suo zelo, l’assegnazione di un terreno per la costruzione della cappella della Città Universitaria “La Sapienza” di Roma.
Inaspettatamente nel maggio 1939 gli giunse la proposta di andare come Uditore di Nunziatura a Buenos Aires. Questo significava abbandonare l’Opera e i suoi giovani, il suo ministero, insomma tutto ciò che aveva di più caro, ma lo fece come risposta libenter, libentissime al Signore.
Si recò in Argentina con il
“proposito fermo di donarmi per il bene della Chiesa in questo Paese”,
come scrisse nel Diario. E si dedicò con zelo al nuovo incarico tanto da conquistarsi la stima del Nunzio, Mons. Giuseppe Fietta, e da riuscire molto presto a dedicarsi anche a vari ministeri, specialmente con le sue conferenze e la predicazione di esercizi spirituali. Pose le premesse all’avvio dell’Università Cattolica con profonde ed entusiasmanti lezioni ai Corsi di Cultura Cattolica.
Mediante queste molteplici attività svolse un efficacissimo apostolato tanto da lasciare un ricordo indelebile. Uno dei più noti sacerdoti argentini dell’epoca, don Manuel Moledo, scrisse: “Sapeva gettare ponti sopra gli abissi”, caratterizzando così la capacità del Servo di Dio di conquistare a Cristo anime lontane, affascinandole con la sua eccezionale cultura, profonda spiritualità e amore a Cristo e alla Croce che traspariva in ogni suo rapporto con gli altri.
Nel gennaio 1942 venne improvvisamente inviato a Santiago del Cile come Incaricato d’Affari ad interim, dove, mostrando anche lì zelo e competenza, tracciò la sua mirabile Preghiera scritta con il sangue. In una rievocazione di alcuni amici cileni, si legge di lui come del “santo che permeò la nostra terra cilena col profumo squisito delle sue eccelse virtù”.
Nel luglio del 1942 ritornò a Buenos Aires, riprendendo tutte le sue attività. Presentendo vicina la fine, intensificò il suo generoso darsi, in una splendida crescita di amore a Dio e alle anime. L’11 novembre, fra tormenti indicibili per una irreversibile peritonite, assistito dal Nunzio e da vari amici, a meno di trentotto anni, offrì per la Chiesa tutta e per il Papa. Le sue ultime parole furono: “Tutto per Te, Signore!”.
Venne dapprima sepolto nel cimitero della Recoleta a Buenos Aires, ma la fama di santità, persistente e sempre crescente, portò a chiedere per lui la sepoltura privilegiata in una Chiesa. Tra la commozione generale avvenne la sua prima traslazione il 13 settembre 1949 nella Chiesa Regina Martyrum di Buenos Aires, tenuta dai Gesuiti. La lapide, che fu apposta, era chiusa da questa espressione: “Sacerdote a pochi paragonabile, godi della pace di Cristo”.
Nel maggio 2007 la “Familia Christi” riuscì ad esaudire la sua volontà testamentaria: riportare a Roma le spoglie mortali che ora si nella cappella di San Pasquale della Basilica dell’Ara Coeli a Roma, dove egli era stato Terziario Francescano. In quella occasione il Cardinale Vicario, Camillo Ruini, disse: “Egli è veramente un santo e speriamo che venga ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa. Un santo che ha scritto una pagina unica nel lungo cammino di coloro che sono gli apostoli, i discepoli, coloro che Cristo ha chiamato e che Cristo ha guidato verso la vittoria”.
(*) postulatore delle Cause dei Santi