Papa Francesco ha concluso la catechesi dell’udienza di oggi, dedicata alla pazienza, indicando ai fedeli la testimonianza di due papà, Rami Elhanan e Bassam Aramin, seduti l’uno accanto all’altro in prima fila, in Aula Paolo VI. La loro storia è raccontata nel libro “Apeirogon” (Feltrinelli) dello scrittore irlandese Colum McCann. “Pazienza è saper sopportare i mali”, ha detto Francesco a braccio: “E qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà, uno israeliano e uno arabo. Ambedue hanno perso le loro figlie in questa guerra. E ambedue sono amici. Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano all’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione”. “Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone, che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa”, l’invito ai presenti: “Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!”. Alla fine un ennesimo appello per la pace, pronunciato a braccio durante i saluti ai fedeli di lingua italiana: “Che il Signore ci dia la pace! Nella martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti. Anche in Israele e Palestina: che ci sia pace in Terra Santa. Che il Signore ci dia la pace a tutti, come dono per la sua Pasqua”.
“Oggi l’udienza era prevista in piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro. È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno sarete non bagnati. Grazie della vostra pazienza!”.
Con queste parole il Papa ha spiegato ai fedeli lo spostamento dell’udienza da piazza San Pietro all’Aula Paolo VI, a causa del maltempo che imperversa su Roma. “La pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande”, ha ricordato Francesco a proposito della “forza mite” della pazienza. “Alla radice della pazienza c’è l’amore”, ha commentato citando Sant’Agostino: “Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio”. Per il Papa, “non c’è migliore testimonianza dell’amore di Cristo che incontrare un cristiano paziente. Ma pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza! Come afferma la Scrittura, è meglio la pazienza che la forza di un eroe”.
“Siamo spesso carenti di pazienza”,
l’analisi di Francesco.
“Nel normale siamo impazienti tutti”, ha proseguito a braccio, spiegando che della pazienza “abbiamo bisogno come della vitamina essenziale per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro, nella comunità cristiana. Subito viene la risposta: non siamo capaci di stare pazienti”. Ma “la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente”: e ciò, per il Papa, “chiede di
andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il ‘tutto e subito;
dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante”. “Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale”, il monito: “Dio è amore, e ci ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere”. “Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa”, l’esempio scelto da Francesco: “soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare; o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto”. “La pazienza ci fa salvare tutto!”, ha esclamato a braccio, osservando che la pazienza, come “forza mite”, ci ricorda che “è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali”. “Un bell’esercizio è anche quello di portare a lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa:
sopportare pazientemente le persone moleste”,
la proposta per questo tempo pasquale: “E non è facile”.
“Noi abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno: non è buono questo”,
la denuncia: “Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore, e non per gli sbagli”, l’invito ancora fuori testo, insieme a quello ad “ampliare lo sguardo, non restringendo il campo del mondo ai nostri guai”, come invita a fare l’Imitazione di Cristo: “Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole”, ricordando che “non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio”. “Quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che egli non lascia deluse le nostre attese”, ha concluso il Papa.