“La teologia aiuta la fede a sviluppare la sua dimensione di conoscenza e di razionalità. Credere infatti non può essere considerato semplicemente frutto dell’emotività o della scelta dell’individuo, ma, proprio perché coinvolge tutta la persona, possiede una profonda e costitutiva dimensione razionale. Inoltre, la missione, se privata del supporto teologico rischia di degenerare nel proselitismo”. Mons. Giuseppe Lorizio, ordinario di teologia fondamentale alla Lateranense (Pul) riassume per il Sir il XII Forum Internazionale della Pontificia accademia di teologia (Path) di cui, recentemente, è stato nominato membro ordinario. Due giornate di confronto sul tema “Quale razionalità per i credenti del XXI secolo?” cui hanno partecipato accademici, teologi e personalità del mondo delle scienze e della cultura.
Professore, come coniugare oggi razionalità e annuncio del Vangelo per raggiungere ogni ambito della vita umana e sociale degli uomini e delle donne del nostro tempo?
Fin dagli albori del Cristianesimo si è avvertita la necessità di rilevare il carattere razionale della rivelazione e della fede che da essa è generata. Il grande apologista Giustino martire, in questo contesto, affermava che “per noi [cristiani] la razionalità nella sua interezza si è manifestata in Cristo”. Se la rivelazione cristiana contiene la razionalità nella sua interezza, tuttavia al di fuori di essa sono rinvenibili frammenti di razionalità, che non di rado assumono la forma di veri e propri brandelli, ma che comunque rimandano al Logos. Pertanto, la logica interna di qualsiasi sistema e forma di pensiero è direttamente proporzionale al suo rapporto col Logos. Non si tratta, tuttavia, di una razionalità o logica astratta e impersonale, ma, poiché essa si manifesta nel Verbo incarnato, di un pensiero concreto e vissuto.
La fede cristiana vive dentro le condizioni storico-culturali di ogni tempo. In che modo, oggi, la teologia e deve operare affinché i cristiani siano pronti a “rendere ragione” di una speranza che non muore?
La teologia aiuta la fede a sviluppare la sua dimensione di conoscenza e di razionalità, per il fatto che l’atto del credere non può essere considerato semplicemente frutto dell’emotività o della scelta dell’individuo, ma, proprio perché coinvolge tutta la persona, possiede una profonda e costitutiva dimensione razionale. È opinione tanto diffusa quanto falsa che la fede sia cieca, come la vecchietta di una famosa poesia di Trilussa, e che in questo sia paragonabile all’amore, ma né il credere né l’amare, perché atti costitutivamente umani, possono prescindere dal sapere. Il teologo accompagna la propria fede e quella dei credenti e della Chiesa con riflessioni che, pur non dimenticando l’aspetto misterico di Dio e della stessa realtà umana, ne mostrano la credibilità con percorsi e argomentazioni. San Tommaso, maestro di tutti noi, di cui ricordiamo i 750 anni dalla morte, parlava di vie che conducono la mente all’affermazione e aiutano la percezione dell’esistenza di Dio.
Teologia e missione, quanto la prima può sostenere e guidare l’altra e viceversa?
La missione priva del supporto del pensiero teologico rischia di degenerare nel proselitismo, dal quale continuamente papa Francesco ci mette in guardia, e di generare atteggiamenti fondamentalisti, da cui il credente nel Dio di Gesù Cristo deve sempre guardarsi, onde allontanare ogni forma di violenza, anche verbale, nell’annuncio della parola di salvezza che il Vangelo ci dona.
Due giornate di confronto alla Lumsa e alla Lateranense con accademici, teologi, personalità del mondo delle scienze e della cultura riuntiti a Roma per il XII Forum internazionale della Pontificia accademia di teologia (Path). Cosa è emerso dall’incontro?
La Pontificia accademia di teologia ha voluto molto opportunamente attuare un incontro-forum a partire dalla domanda: quale razionalità per i credenti del XXI secolo?, mettendo a confronto specialisti di diverse discipline, dalla teologia all’economia, dalla fisica quantistica alla sociologia, nella convinzione che il credente non può ignorare la presenza, nella cultura, sia accademica che diffusa, del nostro tempo, di una sorta di “politeismo” delle forme di razionalità o di polimorfismo della ragione, risultante dalla frammentazione del sapere (relazione della sociologa Cecilia Costa). Piuttosto che ad una ragione univocamente rappresentantesi (e come tale onnicomprensiva e totalizzante) l’intellettuale (occidentale) contemporaneo si trova di fronte alla pluralità delle razionalità, supposta dai differenti ambiti del sapere: abbiamo così (solo per fare qualche esempio) una razionalità scientifica, una razionalità tecnica, una razionalità matematica, una razionalità informatica, una razionalità filosofica, una razionalità teologica ecc. La possibilità di superare la frammentazione, attraverso un fecondo dialogo interdisciplinare, passa attraverso il reciproco riconoscimento delle diverse forme di razionalità e dalla loro interazione. La compresenza di approcci disciplinari tanto diversi quanto anche distanti e la partecipazione attiva al forum di un fisico, dichiaratosi non credente, ma di altissimo livello, quale il professor Antonio Emeritato, ha consentito di attuare e attualizzare quanto richiesto da papa Francesco nel motu proprio Ad theologiam promovendam, nonché all’auspicio della interdisciplinarietà e transdisciplinarietà contenuto nella Veritatis Gaudium.
Un’ultima questione: Il confronto con l’Intelligenza artificiale! Cosa può e deve dire la teologia guardando a questa realtà che sta velocemente occupando spazi di vita sempre più grandi?
All’interno del forum la magistrale lezione dell’amico Paolo Benanti ha lucidamente posto a tema l’emergenza di quella che si continua, impropriamente a mio parere, a chiamare “intelligenza artificiale”. Si tratta, infatti, piuttosto di una “memoria”, che eccede di gran lunga quella di una singola persona e di una “ragione calcolante”, che riesce a consegnare in tempi rapidissimi risultati che richiederebbero tante energie e tanto dispendio di tempo da parte del singolo. In ogni caso, come Benanti va sempre ripetendo, abbiamo bisogno di un orizzonte etico nel quale innestare il nostro rapporto con questo importante momento del progresso tecnico-scientifico, che se da un lato alimenta dei motivati timori, dall’altro sta ad esprimere la capacità dell’uomo di realizzarsi come immagine del Dio creatore, fonte della sua intelligenza e libertà. In tal senso anche da parte teologica – mi riferisco ad esempio all’importante relazione di Giuseppe Tanzella Nitti – si è evidenziato come, in quanto credenti, non siamo nemici del progresso, e neppure la Chiesa lo è – come mostrano ad esempio le odierne nomine di illustri scienziati di discipline diverse alla Pontificia Accademia delle Scienze – piuttosto siamo chiamati a vigilare sulle modalità in cui si esprime, onde evitare che venga a deteriorare o annientare l’umano e la sua peculiarità.