Tutelare la santità dei sacramenti da un arbitrio sregolato e salvaguardare i fedeli a ricevere i sacramenti così come la Chiesa ha stabilito. Mons. Maurizio Barba, docente del Pontificio Istituto Liturgico di Roma, sintetizza così il punto fondamentale della nota “Gestis Verbisque” del Dicastero per la Dottrina della Fede sulla validità dei sacramenti.
Perché è stato necessario ribadire la necessità di non modificare la forma di un sacramento?
Oltre a promuovere la dottrina della fede e della morale, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha il compito di tutelare la santità dei sacramenti per custodire il dono della salvezza che Dio offre all’uomo nell’oggi della Chiesa attraverso gesti e parole. I sacramenti sono il tesoro più prezioso che Cristo ha affidato alla sua Chiesa nel suo cammino nella storia, perché al cuore della vita sacramentale vi sono i misteri della vita di Cristo, che costituiscono il fondamento di ciò che Cristo dispensa nei sacramenti mediante i ministri della Chiesa.
Negli ultimi anni il Dicastero ha affrontato non pochi casi relativi al modo di celebrare i sacramenti, nei quali è stata alterata la formula sacramentale stabilita dalla Chiesa, che ha prodotto confusione nei fedeli e recato danno ad alcuni in particolare, che si sono visti obbligati a ripetere il sacramento in forma assoluta. Si tratta, dunque, di casi specifici nei quali il non rispetto dell’integrità del sacramento ha comportato l’invalidità dello stesso, per cui si è reso necessario un intervento, sollecitato dai Membri del Dicastero, teso a riaffermare la necessità di attenersi a quanto la Chiesa ha stabilito in materia sacramentale, per sottrarre la questione ad interpretazioni e prassi devianti.
La nota, dunque, se da una parte tutela la santità dei sacramenti da un arbitrio sregolato da parte di chi li amministra, dall’altra salvaguarda i fedeli che hanno tutto il diritto a ricevere i sacramenti così come la Chiesa ha stabilito e prescritto nei libri liturgici. Essa nel garantire le condizioni di validità dal punto di vista teologico e giuridico, sollecita pure ad una riflessione sul contesto di fede che deve essere alla base della domanda dei sacramenti e sulla loro efficacia pastorale.
Perché accade che venga modificato un sacramento da parte del celebrante?
Al criterio della fedeltà alle formule stabilite dalla Chiesa, va affiancato quello della responsabilità da parte di chi è chiamato a presiedere le celebrazioni sacramentali. Gli abusi nel campo liturgico si radicano in un falso concetto di libertà, in un distorto utilizzo degli ambiti di adattamento che la stessa liturgia prevede, in una smodata ricerca della novità a tutti i costi. La nota precisa che in alcuni casi “si può constatare la buona fede di alcuni ministri che, inavvertitamente o spinti da sincere motivazioni pastorali, celebrano i Sacramenti modificando le formule e i riti essenziali stabiliti dalla Chiesa, magari per renderli, a loro parere, più idonei e comprensibili. Con frequenza, però, il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice” (n. 3).
La dimensione misterica della liturgia, che collega direttamente la Chiesa e le celebrazioni sacramentali con l’evento salvifico di Cristo, esige un atteggiamento di fedeltà nei confronti di ciò che nella celebrazione sacramentale è stabilito, e quindi non soggetto a mutazioni o a mutabilità, e che nella liturgia è norma valida, quale segno di riconoscimento di una celebrazione come “liturgia della Chiesa” e non prassi privata di un particolare sacerdote.
Perché si parla di materia e forma all’interno di un sacramento?
Ogni sacramento è caratterizzato da una materia e da una forma sacramentale essenziale, un insieme di atti visibili e materiali, e di frasi pronunciate dal ministro, che è condizione necessaria per la validità del sacramento. San Leone Magno in uno dei suoi discorsi sull’Ascensione scrive: “ciò che […] era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti”. Ciò significa che i sacramenti sono la continuazione visibile nel tempo del nostro Salvatore, che con la sua Ascensione al cielo si è reso invisibile agli uomini.
I sacramenti sono, dunque per così dire, le azioni visibili del Signore, che continua ad operare nella sua Chiesa e nel cuore dei credenti.
Egli si rende visibile mediante la materia, la forma e il ministro, una formula classica espressa comunemente nella teologia cattolica. Se è vero che la comunicazione interpersonale tra gli uomini avviene normalmente attraverso tre elementi, cioè la persona presente col suo corpo, i gesti che compie e le cose che usa per comunicare, e le parole con le quali determina il significato preciso dei suoi gesti o il senso delle cose con cui comunica, è vero pure che nei sacramenti il ministro è colui che tiene il posto di Cristo per compiere le sue azioni salvifiche, la materia sono i gesti liturgici e le cose sacre che vengono impiegate per comunicare la grazia divina, la forma sono le parole stesse che definiscono il senso preciso del gesto e della materia impiegata nei sacramenti. Parola e materia diventano un tutt’uno nel sacramento: la parola dà forma alla materia e la materia dà concretezza alla parola.
Che differenza c’è tra liceità e validità?
Entriamo qui in un campo terminologico marcatamente giuridico e morale. Quando si parla di validità dei sacramenti si fa riferimento a una celebrazione sacramentale compiuta rispettando fedelmente tutti i suoi costitutivi necessari ed essenziali, ovvero materia, forma e intenzione del ministro. Quando si parla di liceità, ci si riferisce al rito liturgico celebrato secondo quanto stabilito dalla Chiesa nei libri liturgici. Inoltre, sulla questione dei sacramenti il Magistero opera una distinzione tra modifiche sostanziali che intaccano il senso originario del sacramento, per cui rendono invalido il sacramento, e modifiche accidentali che, anche se non alterano il suo significato, possono renderlo illecito. A tal riguardo, il documento della Dottrina della Fede richiama nella nota n. 31 “che una qualsiasi modifica alla formula di un Sacramento è sempre un atto gravemente illecito. Anche quando si consideri che una piccola modifica non altera il significato originario di un Sacramento e, di conseguenza, non lo rende invalido, essa rimane sempre illecita”.
Cosa succede se si è ricevuto un sacramento non valido e non se ne è consapevoli?
Il popolare modo di dire “le vie del Signore sono infinite” non è solo uno slogan che invita a non arrendersi di fronte alle difficoltà della vita, ma dice una verità importante nel contesto dell’economia sacramentale: le vie di Dio non coincidono in tutto con quelle degli uomini. Le possibilità di Dio, infatti, sono indubbiamente maggiori di quelle di cui dispone la sua Chiesa. Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, “la Chiesa afferma che per i credenti i sacramenti della Nuova Alleanza sono necessari alla salvezza”. Tuttavia tale necessità non ha mai significato per la Chiesa che Dio abbia legato in maniera assoluta il dono della sua grazia ai sacramenti.
Tale principio, considerato un luogo comune nella teologia medievale, rimanda alla consapevolezza della Chiesa primitiva che insieme alla certezza relativa alla necessità del battesimo, c’è stata pure la persuasione che il martirio o una vita sinceramente animata dalla ricerca del bene, potevano costituire una via di salvezza per quanti non avevano potuto ricevere il battesimo a motivo di cause indipendenti dalla loro volontà.
Inoltre, si pensi al cosiddetto “battesimo di desiderio” che è riconosciuto a quella persona che, data espressamente prova di una veritiera ed autentica testimonianza di fede, nonché del desiderio di ricevere la salvezza divina mediante il sacramento del battesimo, muore prima di poter effettivamente ricevere il sacramento. Sono esempi questi tratti dalla ricca tradizione cristiana che portano a riconoscere come, se la via ordinaria, mediante cui la grazia della Pasqua ci raggiunge è quella dei sacramenti, senza dubbio, tuttavia, Dio non lascia chi lo desidera senza il dono della sua presenza che salva.