Dal buio delle macerie di Gaza al calore dell’Italia: sintetizza così, padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, l’arrivo oggi, al porto di La Spezia, della nave ospedale Vulcano con a bordo altri 18 bambini da Gaza, con i loro accompagnatori, quasi tutti tratti in salvo da sotto le macerie. Curati e stabilizzati dai medici, prima della partenza dall’Egitto, “i piccoli – ricorda padre Faltas – sono ancora feriti sia nel corpo che nell’anima”. Ad accogliere i piccoli gazawi a La Spezia, con padre Faltas, c’era il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Abbiamo accolto altre storie di vita, di dolore, di sofferenza e altri volti segnati e tristi. Tutti erano contenti di aver lasciato l’inferno della guerra e di aver già sperimentato il calore, l’affetto e la competenza degli italiani” racconta il vicario della Custodia che non manca mai di ricordare “l’eccezionale generosità del popolo italiano”. A riguardo il governo italiano ha chiesto alle organizzazioni che promuovono i corridoi umanitari (Arci, Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio e Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) di accoglierli, in attesa che sia attivato l’iter del loro riconoscimento come rifugiati.
Esiste il bene della pace. “Tutti stanno lavorando senza sosta per accoglierli, curarli con competenza e assisterli con amore. Uomini e donne che – aggiunge il frate della Custodia di Terra Santa – stanno tutti compiendo un miracolo perché a questi bambini così sofferenti stanno dando testimonianza che non esiste solo il male della guerra, stanno testimoniando che esiste il bene e che la pace è possibile”. L’emozione di padre Faltas è la stessa di una settimana fa quando sono arrivati in Italia i primi 11 bambini da Gaza”. Tutti hanno da raccontare storie terribili che hanno spinto il religioso “a continuare a camminare sulla strada della Pace perché si fermi la guerra che porta solo dolore e distruzione. I bambini arrivati finora in Italia hanno almeno un accompagnatore ma alcuni sono orfani di un genitore, un bambino di un anno e mezzo non ha nessuno e un altro, accompagnato dalla mamma, ha l’età di questa guerra atroce: solo quattro mesi”. Negli ultimi giorni padre Faltas è andato a trovare i bambini ricoverati al Bambino Gesù di Roma e al Meyer di Firenze: “hanno occhi più sorridenti e dopo una iniziale timidezza mi hanno abbracciato con la forza di chi chiede sostegno e vicinanza. Mi chiedevano di rimanere con loro e non è stato facile lasciarli. Questi bambini portano i segni di una guerra di cui non sono responsabili ma che subiscono. Alcuni hanno patologie complesse, altri traumi più o meno gravi: per tutti i bambini comunque non c’è possibilità di cura a Gaza”. È di ieri, infine, la visita all’ospedale Meyer di Firenze, di tre bambini con ferite causate dalla guerra e traumi che “non saranno mai cancellati del tutto. Ho incontrato una mamma che ha accompagnato due figli, un bambino e una bambina. Hanno lasciato a Gaza il papà con altre tre figlie anche loro ferite”. Al Meyer è arrivato anche un altro bambino ferito accompagnato da suo padre, anche loro hanno lasciato a Gaza il resto della famiglia. “Ho ascoltato in silenzio le loro storie. I bambini hanno sorriso vedendo i regali di incoraggiamento realizzati dai loro coetanei della Scuola di Terra Santa di Gerusalemme. Hanno bisogno di sentire questo calore e questo affetto e gli italiani sanno trasmettere la loro solidarietà con gesti concreti e con sorrisi generosi”.
Un’unica richiesta. Da tutti i bambini e accompagnatori è arrivata una sola richiesta: “riunire le nostre famiglie”.
“Era necessario portarli via dall’inferno per farli curare ma purtroppo le famiglie hanno dovuto dividersi – spiega padre Faltas -. I momenti di sofferenza e di dolore si vivono diversamente se si vivono insieme. Spero che Dio guarisca queste ferite, quelle visibili e quelle invisibili”.
“Ancora ieri Papa Francesco ha chiesto a chi è responsabile dell’atrocità della guerra di avere gesti di coraggio per fermare le armi. Ascoltiamo l’appello del Papa, ascoltiamo gli innocenti e gli indifesi, chiediamo con umiltà che sia rispettata la vita”.