“Il cristiano vive la libertà e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento a ogni frammento di verità che incontra nell’esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle Nazioni non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli ha fatto conoscere la sua fede e il corretto esercizio della ragione”. Don Duilio Corgnali aveva fatto suo questo passo della Centesimus Annus citandolo nella conclusione di un intervento su “informazione e territorio”, il saggio che narra i primi venticinque anni della Federazione italiana settimanali cattolici nata nel 1964 e di cui era stato presidente dal 1992 al 1999.
Aveva scelto questa citazione dell’enciclica di Giovanni Paolo II per esprimere il senso del suo essere prete e del suo essere giornalista. La passione per la Verità, la ricerca della Verità, l’incontro con la Verità lo avevano accompagnato lungo le strade del territorio, del Paese e di quella Mitteleuropa (Alpe Adria) che lo avevano visto entusiasta tessitore di relazioni tra popoli e culture.
Fiero del suo Friuli che con le sue forze si era sollevato dal terremoto, gioioso con il suo “mandi”, felice e sorridente quando mostrò agli amici romani la Bibbia in friulano.
La sua friulanità aveva orizzonti ampi, leggeva i valori e gli ideali di un territorio come un dono grande da scambiare con altri territori.
Custode di un’identità cordiale, aperta e dialogante metteva in guardia da un’autoreferenzialità sterile e destinata all’impoverimento culturale e sociale.
Non temeva il confronto anzi lo cercava e anche provocava come occasione per far nascere domande e per aprire ricerche di senso. In questo esercizio lo guidavano l’insegnamento e la testimonianza del card. Martini sul dialogo tra credenti e non credenti, tra pensanti e non pensanti.
Il suo è stato un giornalismo pensato anche davanti ai fatti di cronaca, piccoli o grandi che fossero, per incoraggiare e aiutare i lettori a pensare, a cogliere i segni dei tempi, ad andare oltre l’effimero.
Il suo desiderio era di rispondere a quella “crisi d’anima” che, scrisse per i 10 anni dell’agenzia giornalistica Sir, accompagnava quel tempo di complessità e di cambiamento con la consapevolezza che per il cristiano una crisi non fosse un fallimento irrimediabile ma un’occasione di ripartenza, di nuovo inizio, di conversione.
Con il passo misurato e costante dell’uomo della montagna che sale in alto per guardare più lontano trovava e indicava nella fede vissuta, pensata e comunicata la forza e la bellezza del camminare nel tempo assaporando l’eterno.
Lo aveva ricordato in una relazione al seminario di studio della Fisc tenutosi a Giulianova nel 1986: “… siamo qui ancora a testardamente credere e sperare, anche noi siamo il segno d’una speranza che ci è data in dono e non ci appartiene o ci appartiene come grazia. Per questo siamo qui anche noi giornalisti cattolici, né apocalittici né integrati. né rassegnati al dissolvimento dei valori, né per certo fautori pantofolai dell’effimero. Piuttosto entusiasti resistenti al pericolo (…) della perdita di valori umani, morali, religiosi”.