“Per amare è necessario attraversare i confini. Tutti i confini, a cominciare da quelli che abbiamo nel cuore e nella testa. Farli diventare punti di incontro, sapendo di essere guardati dal volto luminoso di Dio, avvolti dalla sua benedizione che non verrà meno nel nuovo anno che stanotte inizia”: così l’arcivescovo di Gorizia e presidente della Caritas italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, ha concluso la sua omelia nel corso della concelebrazione eucaristica ospitata dalla concattedrale di Nova Gorica al termine della 56ª Marcia nazionale della pace.
La manifestazione, organizzata dalla Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, l’Azione Cattolica e la Caritas Italiana, il Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi Italia con l’arcidiocesi di Gorizia, ha visto il 31 dicembre confluire nella città sulle rive dell’Isonzo un migliaio di persone da tutta Italia.
Per la prima volta la Marcia ha assunto una dimensione transfrontaliera partendo dall’Ossario italiano di Oslavia (dove sono custodite le salme di circa 58mila militari e austriaci caduti durante la prima guerra mondiale), attraversando la città di Gorizia per concludersi, appunto, nella vicina città slovena di Nova Gorica.
In apertura, il presidente di Pax Christi, mons. Giovanni Ricchiuti, ha ricordato la figura di mons. Luigi Bettazzi che fu oltre mezzo secolo or sono fu uno dei promotori dell’iniziativa a cui, fino a quando le condizioni di salute glielo hanno permesso, non ha mai mancato di partecipare.
La prima sosta, svoltasi presso il Centro salesiano “San Luigi” – dove sono ospitati minori immigrati non accompagnati – ha visto l’intervento del direttore della Caritas di Trieste, il gesuita padre Giovanni Lamanna che ha presentato la realtà di quella “Rotta Balcanica” che interessa proprio questa parte del territorio italiani. Padre Lamanna ha invitato quanti hanno “la responsabilità di far rispettare i diritti di quanti cercano rifugio nella civilissima Europa” ad ascoltare chi ha viaggiato lungo questa rotta, sentendo dalla loro voce il racconto di quanto vissuto: mancanza di cibo, abusi e violenze da parte delle forze di sicurezza, mancanza di assistenza medica, condizioni di insicurezza nei campi profughi improvvisati”. “Chi rischia la vita nel proprio Paese – ha concluso – non ha nulla da perdere e non saranno i muri a fermarlo. Siamo chiamati a guardare con verità a queste persone che sono costrette a scappare e riconoscerle come tali, rispettando la loro umanità e i loro diritti per scoprire che non sono nemici ma fratelli e sorelle da abbracciare alle frontiere”.
La tappa successiva ha portato i partecipanti nello storico Travnik, la piazza centrale della città oggi denominata “piazza della Vittoria”, Luca Grion, professore associato di filosofia morale presso l’Università degli Studi di Udine e presidente dell’Istituto Jacques Maritain. prendendo spunto dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2024, ha voluto sottolineare la necessità di “fare pace con l’Intelligenza artificiale”: un obiettivo che può essere raggiunto abbracciare l’opportunità ch’essa offre, cercando di farne uno strumento al servizio del progresso realizzando un partenariato che richiede saggezza, responsabilità e costante riflessione sulla direzione da imprimere allo sviluppo tecnologico”.
Dopo essersi transitati dinanzi alla Sinagoga di Gorizia (per ricordare la deportazione ed il successivo sterminio di quasi tutta la comunità ebraica cittadina a seguito del rastrellamento del 16 novembre 1943) i partecipanti sono giunti in piazza Transalpina, il luogo simbolo della divisione imposta alla città di Gorizia al termine della seconda guerra mondiale ed oggi espressione della collaborazione fra le locali realtà italiana e slovena. Qui la parola è passata a Silvester Gaberšček, etnologo e sociologo che ha ricordato la necessità di trovare un denominatore comune in Europa favorendo l’ascolto reciproco: “Solo una comunicazione veritiera e pacifica è il fondamento per il vivere insieme”.
Il momento finale della giornata ha avuto come cornice la chiesa del Santissimo Salvatore (concattedrale della diocesi di Koper) costruita negli anni Ottanta del secolo scorso, dopo quasi 40 anni di richieste inascoltate al Governo jugoslavo in una zona periferica della città di Nova Gorica (perché la fede doveva essere periferica nella vita delle persone) purché – si era ancora negli anni della Guerra fredda – nelle sue fondamenta fosse edificato un rifugio antiatomico a servizio della città.
Dopo l’ascolto di alcune testimonianze provenienti da Ucraina, Israele e Gaza, la liturgia conclusiva è stata presieduta da mons. Redaelli e concelebrata dal vescovo di Trieste, mons. Trevisi, dal presidente di Pax Christi, mons. Ricchiuti insieme a numerosi sacerdoti italiani e sloveni.