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Card. Hollerich: “Non è necessario essere progressisti per essere sinodali, la sinodalità è per tutta la Chiesa”

Intervista al relatore generale del Sinodo: "La grande prova della sinodalità sarà l’esperienza che della sinodalità si farà alla base. Se la sinodalità non si sperimenta nelle piccole comunità, nelle parrocchie, se viene vissuta o discussa solo nelle sfere più alte della Chiesa, sarà solo ‘maquillage’. E proprio questo ora è il compito dei vescovi. Allo stesso tempo credo che non dobbiamo nemmeno aspettare che tutto cambi da un momento all’altro. Si tratta di cambiamenti profondi che richiederanno tempo”

Malta, Assemblea plenaria del Ccee (Foto Ccee)

(da Malta) “Non è necessario essere progressisti per essere sinodali. La Sinodalità è per tutta la Chiesa. Non riguarda solo una frangia liberale della Chiesa”. È il card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, vicepresidente dei vescovi europei e relatore generale del Sinodo, a tracciare un bilancio del cammino sinodale finora percorso. Lo fa in questa intervista rilasciata alle agenzie di stampa Sir (italiana) e Kai (polacca) a Malta dove sta partecipando all’Assemblea plenaria del Ccee . I presidenti delle Conferenze episcopali europee si stanno confrontando in questi giorni sui “Nuovi passi per una Chiesa sinodale in Europa”. Il card. Mario Grech, Segretario generale del Sinodo, ha presentato le indicazioni sul lavoro di preparazione alla seconda parte del Sinodo che si terrà a ottobre 2024 mentre il card. Hollerich ha parlato del rapporto tra strutture sovrannazionali e sinodalità “per un nuovo slancio missionario della Chiesa in Europa”.

(Foto SIR)

Eminenza, lei ha seguito tutti i lavori, ha partecipato anche alle sessioni continentali del cammino sinodale. Quale lo “stato di salute” della Chiesa?

La Chiesa sta molto bene e credo che chi fa diagnosi contrarie, abbia un interesse dentro per farlo. Naturalmente la salute è qualcosa che deve essere sempre curata. E anche se siamo in salute, possiamo fare qualcosa per migliorarla. La Sinodalità è qualcosa che aiuterà alla salute della Chiesa, perché dice che la Chiesa è tutta missionaria. Gesù ha affidato la missione della Chiesa non soltanto ai sacerdoti ma a tutti, in modo diverso, naturalmente. Ma se tutta la Chiesa vive questo spirito di missione, penso che molte cose cambieranno.

All’inizio del cammino sinodale è stato detto: “Non abbiate paura di condividere con noi vescovi le vostre paure”. Quali sono le criticità che avete raccolto?
La prima cosa e la più importante che vorrei dire, è che tanta gente è stata contenta di essere ascoltata. Ci hanno detto: “È la prima volta che qualcuno mi ascolta a questo livello di Chiesa”. Queste parole sono belle ma fanno anche male.

Se il pastore non conosce il suo gregge, come può fare del bene? Penso che l’ascolto appartiene alla vocazione del vescovo e dei sacerdoti. Forse la gente mi dirà cose che io non voglio sentire ma succede anche in famiglia. Ma se la madre e il padre hanno il coraggio di farlo, allora dobbiamo metterci in ascolto anche noi.

Perché, secondo lei, i vescovi hanno paura di ascoltare le persone?
Io penso che il vescovo sia diventato un mestiere. Hai una segreteria. Le cose si fanno e si sono sempre fatte in un certo modo. Le persone che stanno intorno al vescovo, anche tra i sacerdoti, hanno tutti ricevuto la stessa formazione. Qualche volta hanno studiato anche nelle stesse istituzioni. Occorre però avere un’apertura più grande, perché con il tempo le posizioni si cementano e quando il cemento è duro, è molto difficile cambiare qualcosa. Penso che l’ascolto faccia sì che il cemento non diventi duro.

A proposito di cemento e di posizioni cementate, abbiamo ascoltato che ci sono posizioni talmente diverse che si parla addirittura di un rischio di scisma nella Chiesa. Da questo Sinodo la Chiesa ne uscirà più divisa?

No, questa è propaganda. È la propaganda di un piccolo gruppo che vuole far apparire la cosa così. Guardiamo ai vescovi e ai membri radunati in Sinodo. C’è tra loro una grande diversità. Posizioni molto diverse. E sono diverse per la cultura di appartenenza, per il continente di provenienza. Sono diverse perché qualcuno è più liberale e altri più conservatori. Ma tutti i paragrafi sono stati adottati con l’80 per cento dei voti. Non conosco nessun Parlamento – anche se il Sinodo non è un Parlamento – che ha un tale successo. La politica è molto più divisiva. Noi siamo riusciti ad avere un’unione di cuore nel Sinodo. Lo scopo non è di dividere ma di unire, camminare insieme. E se qualcuno non vuole camminare insieme, allora inventa l’idea di uno scisma.

Ci saranno anche quelli che sono delusi da aspettative che non hanno trovato una risposta…
Sempre. Abbiamo un gruppo di sinistra e un gruppo di destra. Il gruppo di sinistra pensa che il Sinodo avrebbe cambiato tutto, ma non è possibile anche perché il Sinodo non ha l’autorità di cambiare niente perché è una consultazione per il Santo Padre. Il Sinodo ha poi un tema, “Per una Chiesa sinodale. Comunione, Partecipazione, Missione”. È chiaro che non possiamo parlare di tutto e cambiare tutto. E ci sono quelli che il Papa chiama gli “indietristi” che non vogliono camminare del tutto o vogliono camminare indietro.

Ma noi vogliamo camminare avanti.

Come ne sta uscendo la Chiesa da tutto questo movimento?
Sarà più unita, penso. Sarà più semplice. La grande maggioranza dei partecipanti del Sinodo è stata entusiasta. Quelli che non hanno condiviso, gridano più forte, ma ripeto, sono soltanto un piccolo gruppetto. Non è la maggioranza. Naturalmente c’è anche una critica che è necessaria. È chiaro che ci sono cose da migliorare.

Ma, secondo lei, la gente capisce su cosa la Chiesa sta lavorando? È interessata?
È chiaro che già la parola “sinodalità” è complicata. Quando cerco di spiegarlo, dico semplicemente che il Sinodo riguarda la Chiesa e come stare insieme nella Chiesa e questo la gente lo capisce. Credo che la grande prova della sinodalità, sarà l’esperienza che della sinodalità si farà alla base. Se la sinodalità non si sperimenta nelle piccole comunità, nelle parrocchie, se viene vissuta o discussa solo nelle sfere più alte della Chiesa, sarà solo “maquillage”. È proprio questo ora è il compito dei vescovi. Allo stesso tempo credo che non dobbiamo nemmeno aspettare che tutto cambi da un momento all’altro. Si tratta di cambiamenti profondi che richiederanno tempo, ma abbiamo bisogno di una visione chiara di ciò che Dio vuole per la Chiesa e poi una volontà ferma di attuarlo. Non abbiamo mai avuto una risposta così numerosa da tutte le Chiese. Questo è positivo ma non basta. Dobbiamo andare avanti.

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