Papa Francesco è dal 2013 che richiama il ruolo delle mamme e delle nonne nella trasmissione della fede, ma anche il metodo semplice fatto di un linguaggio dialettale e di una testimonianza concreta. Se ci volgiamo indietro riemergono, in tanti di noi, fotogrammi fatti di ricordi scanditi e dai cristiani consigli: la preghiera del mattino, della sera, il segno della croce a tavola, il rosario e il mese di maggio e poi la messa della domenica, primo appuntamento del giorno festivo. Riemergono così pagine di quella eredità spirituale, di quel patrimonio valoriale, illuminate da esortazioni alle piccole opere buone, alla solidarietà, alla condivisione o allo spezzare il pane e la propria merenda con il compagno di giochi.
È questa, non altro, “la vita buona del Vangelo”.
Nelle parrocchie è ripreso come ogni anno il catechismo, con un po’ di stanchezza e forse con qualche cruccio in più su effetti e obiettivi. Ci sono nuove frontiere da indicare e indagare: dal Creato alla carità fino ad un culto libero da devozionismi e sacramenti sganciati da tradizioni. Frontiere che richiedono accompagnamento, ritmo fatto di passi lenti, ponderati e sinfonici, che devono trovare nella sintonia tra famiglia e parrocchia la vera armonia. Si può cambiare libro, si può innovare il metodo, ma se crolla il polmone della famiglia la fede non si fa vita; proprio in questo sta il valore aggiunto e l’incarnazione di quei concetti che rischiano di restare solo vocaboli dell’ecclesialese: mensa, perdono, discepolato, obbedienza, preghiera, paternità, provvidenza, sacrificio… La catechesi incontra la vita sul terreno del primo annuncio: il suo habitat naturale è la famiglia, luogo delle relazioni vere e del vissuto reale. Le famiglie devono tornare ad essere i cantieri sinodali dove vivere quell’esperienza di fede alimentata in parrocchia, nel gruppo o nella associazione. E saranno i cantieri di Nazareth.