“L’Europa non è più il centro principale della Chiesa: ci sono altri centri, come l’America Latina, l’Africa, l’Asia e le Conferenze continentali”. È questa l’”impressione molto forte” avuta al Sinodo sulla sinodalità, che si avvia alla conclusione. A rivelarlo ai giornalisti, nel briefing odierno in Sala stampa vaticana, è stato il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che ha partecipato ad otto Sinodi e ha affermato che “la metodologia e lo svolgimento è il migliore che io abbia vissuto”. “Ho una lamentela”, ha però confessato: “La Commissione delle Conferenze episcopali europee (Ccee) non è riuscita ad avere il potenziale che hanno sviluppato le Conferenze episcopali dell’Asia, dell’America Latina e dell’Asia. Siamo rimasti un po’ più indietro, nella sinodalità vissuta tra le Chiese in Europa, abbiamo bisogno di uno stimolo per andare più avanti”.
“Le Conferenze episcopali europee non sono mai riuscite ad avere una parola comune sul dramma dei migranti e dei profughi, e questo è triste”,
ha denunciato il cardinale: “I politici non lo fanno, non lo sanno fare e noi Chiesa cattolica non riusciamo ad avere una parola comune e di peso su questo”. Quanto agli esiti di questa prima tappa dell’assise sinodale, Schönborn ha citato un frase ascoltata nel 1965, al termine del Concilio: “Se da questo Concilio non proviene un aumento di fede, di speranza e di carità, tutto il Concilio è stato invano. Direi lo stesso di questo Sinodo”. “La Chiesa è comunione, la sinodalità è il modo di vivere la comunione”, ha poi affermato il porporato citando la sua partecipazione al Sinodo del 1985 sulla comunione, in qualità di teologo, e il discorso di Papa Francesco per il 5o° dell’istituzione del Sinodo. Per Schönborn, occorre
“ripensare alla grande visione della Chiesa della Lumen Gentium,
dove si parla prima della Chiesa come mistero, poi della Chiesa come popolo di Dio e solo dopo della costituzione gerarchica della Chiesa e del ruolo dei laici e dei consacrati. La visione della sinodalità è il camminare insieme, è la vita della ‘communio’ ecclesiale. Alla base di tutto questo c’è il battesimo”. Altra impressione forte ricavata dall’arcivescovo di Vienna dal Sinodo, “quello che le Chiese orientali vivono da sempre: la sinodalità senza liturgia non esiste. Il cuore della sinodalità è l’assemblea dei fedeli, che non è un luogo di discussione ma della celebrazione comune. Avere a cuore la liturgia significa avere a cuore la fede celebrata, prima che la fede discussa”.
“C’è un ordine oggettivo e poi ci sono le persone umane, che hanno sempre diritto al rispetto, anche se peccano, cosa che noi tutti facciamo”.
Così il card. Schönborn ha risposto alle domande dei giornalisti sulle persone Lbgtq, in particolare alla parte loro relativa del Catechismo della Chiesa cattolica, di cui il cardinale è stato segretario di redazione. “Tutti abbiamo diritto al rispetto, ad essere accettati. La persona è accettata da Dio, poi il cammino di questa persona ha la sua storia, quindi bisogna accompagnarla e rispettarla”. Quanto a possibili modifiche del Catechismo della Chiesa cattolica in materia, Schönborn ha ricordato che “il Catechismo è opera della Chiesa ed è promulgato dal Papa. Dalla sua pubblicazione c’è stata solo una volta una modifica, ad opera di Papa Francesco, sulla pena di morte. Non è un segreto: Giovanni Paolo II voleva già che fosse condannata esplicitamente la pena di morte e anche Madre Teresa aveva chiesto insistentemente a Giovanni Paolo II di condannarla. Due santi hanno chiesto con forza questa modifica e il Papa attuale lo ha fatto modificare”. Ci saranno altre modifiche? “Non lo so, è il Papa che l’ha promulgato e l’ultima parola spetta a lui, solo lui può modificarlo”. A livello teologico, Schönborn ha esortato a “considerare ciò che Giovanni XXIII ha detto all’inizio del Vaticano II sull’immutabilità della dottrina e sul modo di presentare la dottrina. Ci sono grandi sviluppi a livello dell’approfondimento delle questioni, ma c’è anche l’immutabilità della nostra fede. Non possiamo cambiare il fatto che crediamo nella Trinità, o nell’incarnazione del Verbo, o nell’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù. Sono validi ovunque nel mondo: anche se le culture possono essere diverse, la sostanza della fede non può essere modificata”.
Al Sinodo, arrivato all’ultima settimana, è stata letta oggi una bozza della “Lettera aperta al popolo di Dio”, salutata da un applauso generale, ha riferito Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione. Il testo finale della lettera sarà pubblicato mercoledì prossimo, mentre il documento finale del Sinodo verrà votato per parti e approvato sabato sera.
E della loro esperienza al Sinodo hanno parlato gli altri partecipanti al briefing odierno in Sala stampa vaticana. Il card. Carlos Aguiar Retes, vescovo di México, ha lodato il metodo “basato sul consenso, il dialogo e l’ascolto reciproco”: “Vivendo la sinodalità – ha assicurato – potremo andare avanti: se non lo faremo, ci trasformeremo in piccoli gruppi cattolici, come sta già avvenendo in alcuni luoghi”. “Il mondo è in crisi, lo era già quando siamo arrivati, poi la crisi è diventata ancora più grave”, ha osservato il card Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia: “Parliamo di cose che possono sembrare molto legate alla vita interna della comunità di fede, ma le preoccupazioni del mondo ci ricordano che non possiamo stare sulle piccole cose, la Chiesa deve assumersi le sue responsabilità”. “Il Sinodo ha una sola missione”, ha sintetizzato suor Samuela Maria Rigon: “Evangelizzare, offrire il volto misericordioso e amico di Gesù. Possiamo avere parole incoraggianti, parole di speranza per tutti, all’interno di una Chiesa in cammino con le sue bellezze e fatiche, oppure possiamo avere parole di veleno. Sta a noi scegliere, chiedersi cosa ognuno di noi possa fare perché il mondo sia un luogo migliore”.