Quella maledetta mina! Padre Pozzi racconta il quarto attentato

Missionario Carmelitano, padre Norberto con la sua jeep è saltato su una mina in Centrafrica. Il fatto gli è costato l’amputazione di un piede. “Si vede che non era la mia ora”, commenta. Negli occhi gli è rimasta la passione per la missione

(Foto N.P./Missio)

Padre Norberto Pozzi è un Carmelitano scalzo, missionario nella Repubblica Centrafricana. È in missione da molti anni: era arrivato come laico alla ricerca di un senso della sua vita. Il lavoro in missione, piano piano, l’ha cambiato. Da muratore entra in seminario e diventa frate carmelitano.
L’attività di padre Norberto è frenetica, divisa tra evangelizzazione e promozione sociale in un territorio, la Repubblica Centrafricana, scossa da mille tensioni, non da ultimo una guerra tra fazioni che ha fatto intervenire l’Onu con una forza di interposizione. Le mine fanno parte del tragico e disgraziato gioco della guerra.
Era il 10 febbraio scorso quando padre Norberto stava andando a sistemare dei lavori nelle scuole delle missioni, per questo si era portato qualche operaio in aiuto. Superato il villaggio di Bozoum, un conoscente lo avverte: tieniti sulla sinistra, perché c’è la possibilità che la strada sia minata. Pozzi, come chiunque viva in Centrafrica, è abituato a simili avvertimenti, fa parte del quotidiano in questa parte di Africa. Supera il primo ponticello, supera il secondo, centrando bene dove mettere le ruote sulla lasagna di metallo del ponte, e poi il gran botto. La jeep vola, tutti illesi tranne lui.
Il missionario perde conoscenza, la riprende a sprazzi solo dopo, tanto da ricordare di essere stato caricato su una moto, uno davanti alla guida, lui in mezzo con un piede a penzoloni, dietro un altro che lo sorregge. E via di corsa verso Bozoum. Nel tragitto ricorda la folla che grida, che lo accompagna, che gli tende la mano.
Arriva in condizioni critiche al posto medico, dove l’unica sacca di sangue che hanno è uno O+, il suo! Sarà un caso, che Norberto Pozzi rilegge dicendo: “si vede che non era la mia ora”. E poi il trasporto in elicottero prima a Bangui e poi a Kampala in Uganda, dove gli amputano il piede. E da lì all’ospedale Rizzoli di Bologna.
È il quarto attentato che subisce. Nei primi tre rimane illeso: in uno la pallottola si conficca nel poggiatesta a un centimetro dalla nuca, nel secondo nel cambio della jeep, al terzo riesce a sfuggire agli attentatori. “Finché ne esci illeso, superi l’impatto. Ma quando ci lasci qualcosa, allora ti fai delle domande”. La voglia di “piedi in cammino” è ancora intatta, nonostante tutto. Ritornerà? Sorride. È questa la domanda che deve ancora affrontare. La più difficile.

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