A intervistarlo, quasi ci si sente “in colpa”. Parlare con lui, significa toglierlo, anche se solo per qualche minuto, dalla sua occupazione principale, quella per cui è conosciuto in tutta Buenos Aires, e d’ora in poi in tutto il mondo: confessare i fedeli che affluiscono ogni giorno al santuario di Nueva Pompeya, nella zona meridionale della capitale argentina, gestito dai francescani cappuccini. Padre Luis Pascual Dri, 96 anni, non ha certo cambiato le sue abitudini, da quando, domenica 9 luglio, Papa Francesco ha incluso il suo nome nell’elenco dei nuovi cardinali. Del resto, la scelta del Santo Padre è caduta su di lui proprio per questa instancabile attività di confessore, per la sua capacità di rendere visibile il volto accogliente e misericordioso di Dio, ben conosciuta dall’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio, quando era a Buenos Aires. Il Papa lo ha definito “icona del confessore”, e proprio per questo sabato 30 settembre riceverà la porpora, pur non essendo vescovo. In realtà il curriculum di padre Dri è vasto e variegato, ma con gli anni possiamo dire che questa è diventata la sua “specializzazione”.
È nato il 17 aprile 1927 a Federación, provincia di Entre Ríos (Argentina), in una famiglia dove tutti i figli, tranne uno, si sono consacrati a Dio nella vita religiosa. Entrato nel Seminario dei Cappuccini nel gennaio 1938, quando aveva solo 11 anni, ha compiuto gli studi primari e secondari. Nel quartiere montevideano di Nuevo París, in Uruguay, è entrato in noviziato. Ha vestito l’abito cappuccino il 21 febbraio 1945. Nel 1949 ha emesso la professione perpetua. Il 29 marzo 1952 è stato ordinato sacerdote nella cattedrale di Montevideo. Da allora, numerosi incarichi, come direttore di seminari, maestro dei novizi, educatore, in molte località dell’Argentina, con una parentesi in Europa, nel 1961, per specializzarsi come formatore dei novizi. Più volte è stato parroco, e all’inizio del 2000 è stato trasferito con questo incarico al santuario di Nostra Signora di Pompeya, Buenos Aires, dove ha trascorso tre anni; quindi, il trasferimento a Mar del Plata e, a partire dal 2007, il definitivo ritorno al santuario di Buenos Aires. Oggi, all’età di 96 anni, continua a servire il Signore dal confessionale in cui trascorre ore ogni giorno, amministrando il sacramento della riconciliazione.
“No, non sarò a Roma, anche se avrei abbracciato volentieri Papa Francesco – dice al Sir padre Dri -. Le mie condizioni di salute non me lo consentono. Le insegne mi saranno consegnate qui a Buenos Aires, l’arcivescovo mi ha chiamato e ci sarà una celebrazione”. Il religioso cappuccino si muove in sedia a rotelle, ma la sua voce è cristallina, il suo pensiero lucido, unito a una notevole dose di ironia, mescolata a empatia e viva cordialità.
Torniamo al 9 luglio, due mesi e mezzo fa. Cosa ha provato apprendendo la notizia?
Sono stato colto completamente di sorpresa. Hanno cominciato a dirmi questa cosa, ho pensato che mi stessero facendo uno scherzo. Poi, quando mi sono reso conto che era tutto vero, ho pianto a lungo, non sapevo che dire e che fare! Ora sono più tranquillo, mi rendo conto che il Signore ha avuto compassione di me, con questo riconoscimento.
Qual è il suo “segreto”, come confessore?
Sì, mi ritengo un confessore instancabile. Ce n’è tanto bisogno oggi, in un mondo pieno di tante situazioni difficili, che si moltiplicano e coinvolgono le persone.
Dicono che è “troppo buono”, che perdona tutti…
Non lo nego, ma io dico sempre a Gesù: “Sei tu che hai perdonato troppo, che hai perdonato tutti!”. Io cerco di fare come lui. Gesù non ha negato il perdono a nessuno. Conoscevo bene l’arcivescovo Bergoglio, e anche lui, per così dire, “mi assolveva” per questo.
Confessare, oggi, è la sua vita?
Sì, diciamo che è il mio lavoro, fin dalle prime ore del mattino. Cerco di accogliere la gente, di ascoltare. Viviamo anni contrassegnati da grande incertezza, da mancanza di pace e di tranquillità. È importante trasmettere l’amore di Gesù. È lui il centro di tutto! L’ho appreso da bambino, da mia mamma, che mi ha insegnato a essere credente. Mio padre morì quando avevo quattro anni.
Che parole usa per trasmettere questa priorità?
Cerco di infondere tranquillità e pace interiore. È fondamentale che nell’animo non ci sia odio, non ci sia rancore. Il perdono chiama perdono, e questo è l’unico rimedio, anche di fronte a una situazione in cui l’aria è inquinata dall’odio, come sta accadendo anche nella nostra Argentina. Nella società, ma anche nella Chiesa, ci sono molte divisioni, dobbiamo cambiare. E la conversione ha un solo nome: la persona di Gesù. Il rapporto con Gesù è la cosa fondamentale, più della “religione”, dei contenuti della catechesi. Tutto parte da qui, essere tutt’uno con lui. In lui dobbiamo confidare, lui è la pace, la nostra vita.
È vero che apprezza molto altri celebri santi cappuccini, grandi confessori, come Leopoldo Mandic e Pio di Pietrelcina?
Certamente! Ho visitato i luoghi di san Leopoldo, a Padova. È morto in tempo si guerra, ma era un grande uomo di pace e di comunione. Si dedicò alla confessione, con umiltà promosse la riconciliazione. Padre Pio, l’ho conosciuto personalmente, a San Giovanni Rotondo. Nel 1961 mi confessai da lui, ci parlai, e poi ancora nel 1968. Entrambi mi ispirano, nel confessare.
Cosa le ha detto il Papa?
Quando gli ho comunicato che non avrei potuto venire a Roma, ma ha detto di stare tranquillo! Del resto, ho potuto stare con lui, a Santa Marta, nel 2018, per alcuni giorni. L’ho percepito, anche in quella occasione, come un padre che abbraccia e benedice, ma soprattutto come un fratello.
Ci lascia un suo pensiero conclusivo?
Attraverso di noi il mondo deve sapere che Dio è buono, che perdona sempre, non dobbiamo avere paura.
(*) giornalista de “La vita del popolo”