Sono passati diversi giorni dalla conclusione del 43° viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco in Mongolia, ma il card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar, è ancora molto indaffarato per le ricadute della visita, che resta nella memoria e nei cuori della gente, colmi di gratitudine verso il Papa. E come Francesco, durante l’udienza generale del 6 settembre ha affermato che il viaggio in Asia gli ha fatto bene, così per la piccola comunità mongola cattolica, anzi per tutta la popolazione, la visita è stata un dono. Ne parliamo con il card. Giorgio Marengo.
Più volte il Papa ha detto di avere molto caro il popolo mongolo: durante questi giorni si è sentito questo affetto e il popolo come l’ha ricambiato?
Nei giorni della visita si è creato un bellissimo rapporto tra il Santo Padre e la popolazione, non solo la piccola comunità cattolica, ma anche la gente comune. Si è notato proprio un feeling tra il Santo Padre e il popolo mongolo attraverso l’espressione di un affetto sincero. All’inizio era più che altro curiosità, poi con il passare dei giorni sono diventati simpatia e desiderio magari di scattare una foto mentre passava, di salutare. Sono stati molto contenti della generosità del Papa di tenere giù il finestrino e salutare tutte le persone possibili e immaginabili.
Durante la conferenza stampa in aereo, di ritorno dalla Mongolia, il Papa si è detto soddisfatto del viaggio. Lei che bilancio ne fa? Quali sono stati a suo avviso i momenti salienti?
Questo viaggio è stato certamente una grazia, direi. È stato sotto tutti gli aspetti un dono.
Lo valutiamo tutti in maniera super positiva, non ci sono parole per dire come siamo contenti, soddisfatti e grati al Santo Padre di aver compiuto questo viaggio, di aver fatto questa scelta di venire in un luogo lontano dai riflettori, come ha detto lui, per portare la sua testimonianza e per ascoltare, per dialogare. Direi che ogni evento del programma ha avuto un suo valore particolare, quindi più che parlare di quali siano stati i momenti più salienti, direi che ognuno degli eventi che erano in programma ha avuto un rilievo tutto particolare. Certamente l’accoglienza solenne riservata sulla piazza e poi dentro il palazzo governativo con questo incontro molto cordiale con il presidente della Mongolia, Ukhnaagiin Khürelsükh, che si è poi concluso con un gesto di particolare vicinanza quando il presidente per salutare il Santo Padre che si stava congedando si è chinato in quanto il Santo Padre era sulla sedia a rotelle, poi quando stava risalendo in macchina lo ha abbracciato, segno di qualcosa che va al di là del protocollo e che esprime molto. Poi, ovviamente, l’incontro in cattedrale. Il Santo Padre che entra in una ger che era all’esterno. Per la piccola comunità mongola resterà sempre impresso nel cuore, nella memoria, un Papa che è entrato nella nostra casa, ha voluto interessarsi di noi.
E poi la familiarità, il clima di famiglia che ha caratterizzato questo incontro con le belle testimonianze, gli scambi e il messaggio che ci ha dato che diventa per noi un programma di vita.
Poi gli altri tre momenti importanti, di nuovo ognuno a suo modo: l’incontro con i leader religiosi, un segno veramente profetico di volontà di camminare insieme, di superare gli attriti, le tensioni con un ascolto reciproco, un impegno comune per la pace, per l’armonia. Poi la santa messa nella Steppe Arena: quando ho visto sugli schermi la scritta “Benvenuto, Santo Padre, in Mongolia” mi sembrava veramente un sogno, invece era la realtà. Questa celebrazione eucaristica che è stata anche una delle prime a essere seguita da molte migliaia di cittadini mongoli, per cui un’esposizione anche alla nostra vita di fede molto significativa, oltre che la prima volta ovviamente che era il Santo Padre a presiederla in Mongolia. Anche l’incontro alla Casa della Misericordia, l’ultimo giorno, è stato caratterizzato da questa prossimità, questa vicinanza alle persone sofferenti con un messaggio molto chiaro per noi missionari e missionarie, credenti in Mongolia: il messaggio di una carità genuina, non interessata, di un prendersi cura dell’altro che diventa il profumo di Cristo che si espande. Bellissimi tutti questi momenti.
Più volte il Papa durante il viaggio ha lanciato un appello alla pace, a essere “semi di pace” in un mondo attraversato da conflitti. E sempre rispondendo ai giornalisti il Papa ha risposto affermativamente alla domanda se Ulaanbaatar può proporsi come piattaforma per un dialogo internazionale tra Europa e Asia. Questo, secondo lei, si può realizzare in che modo?
Gli appelli del Papa per la pace sono stati numerosi. Credo che siano stati accolti con molto senso di gratitudine e anche di responsabilità.
Ed è emerso sempre di più questo ruolo che la Mongolia può avere nello scacchiere internazionale di un Paese dove potersi sedere insieme dentro una ger, in uno spazio circolare, per trovare accordi, per trovare quell’equilibrio tra le forze che nella storia i mongoli hanno sempre ricercato e per lo più hanno saputo trovare. Poi concretamente come questo si possa realizzare non lo so, ma potrebbero anche profilarsi delle possibilità di diventare la Mongolia, Ulaanbataar, un luogo di incontro, di summit tra persone che sono coinvolte nella ricerca della pace. È una nazione ospitale, capace dal punto di vista organizzativo, determinata nella ricerca della pace e della risoluzione dei conflitti, potrebbe essere un luogo particolarmente adatto per ospitare dei dialoghi di pace tra le parti che cercano un accordo. Questa possibilità concreta di Ulaanbataar come luogo di summit per la pace credo che non sia una fantasia, ma sia piuttosto fattibile.
Francesco ha molto incoraggiato la piccola ma vivace comunità cattolica mongola. Cosa vi caratterizza?
Forse una delle caratteristiche che più contraddistingue questa piccola porzione di Chiesa che siamo noi in Mongolia penso che possa definirsi come la freschezza della fede.
Una comunità formata da poco meno di 1.500 persone che in questi trent’anni si sono affacciate alla fede, hanno scelto di vivere da cattolici nel mondo, in una società in cui questo non è per nulla scontato e lo hanno fatto ognuno a modo suo, attirati, come spesso ci ha ricordato il Santo Padre, dalla bellezza della fede, dalla bellezza del Vangelo vissuto e concretizzato dai missionari, dalle missionarie e dagli altri credenti. Quindi forse questa caratteristica di una Chiesa che cammina con semplicità, con umiltà e in una dimensione, appunto, di freschezza, di genuinità, con tutti gli alti e bassi che una vita di fede porta con sé, ma anche con la gioia di scoprire ogni giorno la bellezza del Vangelo e con lo sforzo e l’impegno di trasformarlo in gesti concreti, viste le tante attività che i missionari e le missionarie svolgono da tanti anni a beneficio della popolazione in tutti i campi del vivere sociale, l’educazione, la cura della persona nella salute, l’attenzione alle varie forme di disagio, alla povertà, la promozione culturale. Quindi una Chiesa attiva e con questa gioia della fede che non si preoccupa di grandi numeri o di riconoscimenti esterni, ma che cerca di camminare con semplicità nelle vie del Vangelo.
E cosa può insegnare questa piccola Chiesa al mondo intero?
Non credo che come Chiesa abbiamo qualcosa da insegnare a nessuno, abbiamo tutto da imparare, semplicemente è bello vivere la fede così. Credo che questa bellezza possa essere in qualche modo contagiosa, nella misura in cui viene colta, viene condivisa. Accogliamo questo dono e lo offriamo con tanta semplicità.
Il Papa ha anche assicurato le autorità che la Chiesa cattolica non ha un’agenda politica: qual è il vostro rapporto con le istituzioni, altre religiose e società?
Quanto il Papa ha detto circa il fatto che la Chiesa non ha un’agenda politica, ma è un fermento di bene nelle società, è di un’importanza capitale perché ribadisce quella che è la vera identità della Chiesa e in questo senso aiuta anche a sgomberare il campo da eventuali false interpretazioni o paure in un Paese che per settant’anni è stato caratterizzato da un’ideologia atea, che ha instillato un senso di disprezzo e anche di sospetto verso ogni forma religiosa, è importante ribadire che la Chiesa ha una sua identità, che non si regge su interessi politici, economici, di potere, ma che ha un’unica missione che è quella di offrire il Vangelo e di viverlo. Ed è importante questo, perché comunque rimane un certo sospetto verso la religione appunto intesa come potenziale motivo di tensione nella società, soprattutto laddove possano convivere diverse religioni. E allora questa sottolineatura del Papa aiuta molto, ci aiuta anche nel nostro quotidiano interfacciarci con le autorità civili, con le quali c’è un ottimo dialogo, ed è però importante avere un punto di riferimento anche per noi, per spiegare chi siamo, perché è anche vero che ci sono vari gruppi religiosi in Mongolia di varia natura e di varia origine e non tutti sono legati a tradizioni chiare e quindi, a volte, lo Stato si trova a doversi confrontare con esperienze religiose non chiare. Invece, questa chiarezza che il Papa ha espresso sulla Chiesa cattolica è molto importante.
È stata benedetta dal Papa e inaugurata la Casa della Misericordia: di cosa si occuperà?
La Casa della Misericordia vuole essere proprio una porta aperta a ogni persona che è in difficoltà, in primis le persone della strada, che non sono tantissime ma che comunque vivono una realtà difficilissima, soprattutto in inverno, quando rimanere fuori vorrebbe dire condannarsi alla morte, quindi, un luogo di rifugio dal freddo intenso dell’inverno, un luogo dove ricevere un pasto caldo, dove farsi una doccia, dove parlare con qualcuno, dove esprimere il proprio disagio. Da parte nostra, l’impegno all’ascolto e all’orientamento di queste varie forme di disagio, in una grande sinergia con le realtà sociali già presenti sul territorio, perché in Mongolia esiste anche un’Assicurazione sanitaria nazionale, esistono ospedali che forniscono l’aiuto necessario, quindi non vogliamo essere un doppione, vogliamo semplicemente offrire lo spirito cristiano di aiuto, di prossimità e metterlo in dialogo con quello che c’è già di buono nella società. Concretamente ci sarà una mensa per persone in difficoltà, delle docce pubbliche, delle stanze di ascolto e di prima accoglienza, un piccolo ambulatorio per un primo soccorso, delle stanze anche per persone che magari devono rimanere qualche giorno, scappando da situazioni di violenza domestica o cose del genere, e anche spazi per i volontari, per le persone che opereranno nella Casa, le varie figure professionali che ci saranno, tenendo conto che potrebbe diventare anche un punto di riferimento per la Chiesa locale quando si fanno incontri che richiamano persone dalle varie parti del Paese. L’altra caratteristica è che questa esperienza si propone come un’espressione della Chiesa locale e, quindi, associata direttamente alla Prefettura apostolica con ,evidentemente, il contributo, la collaborazione delle varie congregazioni religiose presenti, ma in primis come un’iniziativa delle persone mongole locali che si mettono insieme, che si aiutano e che s’impegnano per il prossimo.
Quali frutti della visita del Papa auspica ci saranno nella vostra Chiesa?
Certamente vogliamo custodire con grande gratitudine e con profondità i semi che sono stati sparsi a piene mani dal Santo Padre in questa visita e, quindi, siamo fiduciosi che i frutti verranno fuori da questa visita proprio per il grande valore a 360 gradi che questa visita ha avuto. Starà certamente a noi di non lasciar cadere invano i grandi appelli che il Santo Padre ci ha fatto, quindi i suoi discorsi diventeranno un programma pastorale per tutti noi. Abbiamo già in mente di pubblicare i vari discorsi nella forma di un libretto in lingua mongola, che verrà anche condiviso con persone al di fuori della Chiesa e che per noi diventerà una specie di programma per i prossimi anni. Da questo punto di vista, i frutti si riassumono proprio in una rinnovata consapevolezza di chi siamo come Chiesa in questa società, in una maggiore visibilità che il Papa ci ha dato come comunità credente con la propria identità, perché qui a volte si fa un po’ fatica a distinguere all’interno del mondo cristiano tra le varie denominazioni. Adesso con la venuta del Papa sarà più chiaro riferirci proprio a lui, a quello che lui rappresenta nel mondo e quindi ci potrà dare anche un contributo fondamentale nella continuazione dei rapporti che abbiamo con le autorità civili per anche mettere a tema alcune situazioni che ancora necessitano di essere risolte a livello legale, a livello di permanenza dei missionari, di registrazione delle nostre attività.
Uno dei frutti concreti potrebbe essere proprio il contributo a proseguire nel negoziato per arrivare poi a un Accordo bilaterale tra la Santa Sede e la Mongolia.
Come continua il cammino adesso, anche in considerazione del Cammino sinodale in corso?
Come ha detto la catechista Rufina nella sua testimonianza, nel nostro piccolo la nostra esperienza di Chiesa è già un’esperienza sinodale e vorremmo che continuasse in questa linea che, come ha avuto modo di spiegare il Santo Padre anche nel viaggio di ritorno sull’aereo, è la prospettiva degli Atti degli apostoli, dei Vangeli. Non è nulla di nuovo, di strano, ma è l’identità della Chiesa. Per noi vuol dire proseguire in questo cammino, sapendo dove dobbiamo insistere: in particolare, il Santo Padre ha messo l’accento sulla necessità di una vita di preghiera ben radicata, che ancori tutto il nostro prodigarci per il prossimo e ha sottolineato l’importanza della comunione ecclesiale nel camminare insieme verso Cristo. Quindi il cammino prosegue, speriamo anche che dia dei frutti di interesse da parte delle persone verso la Chiesa cattolica e, se non altro, di simpatia, di positività, che è già una grande cosa: essere visti non solo come un gruppo di un’altra religione che rappresenta una piccolissima minoranza, ma essere visti comunque come un gruppo di queste dimensioni che però si spende per il bene del Paese e che è affidabile, un partner credibile.