“Maria si alzò e andò in fretta”. Questo lo slogan della Gmg che si è chiusa domenica scorsa a Lisbona. Questo “andò in fretta” mi interroga, mi inquieta, in un certo senso condiziona anche le mie giornate, da sempre, potrei aggiungere.
Che significa questo “andò in fretta”? Perché si è trattato di questa fretta, questa frenesia che spesso si combatte. Perché Papa Francesco ha scelto questo versetto tratto dal vangelo di Luca? Maria si alzò e, pare di comprendere, senza neanche pensare, andò in fretta. Senza pensarci, senza indugio. Aveva compreso che quella era stata la sua chiamata in quel momento, quella di andare a trovare sua cugina Elisabetta, e lì lei andò in fretta, appunto.
Ma cos’è questa fretta? È quella che tutti combattono? Allora perché Bergoglio ha insistito tanto su questo slancio, su questa voglia di fare? Non bisogna essere più riflessivi, più caritativi? Perché questo attivismo? Questi interrogativi ci sono tutti e sono presenti anche nelle interpretazioni di questi giorni.
Nei miei 63 anni di vita ho avuto la fortuna di essere stato, per diverso tempo, molto vicino a don Oreste Benzi, il fondatore alla Comunità Papa Giovanni XXIII. Don Benzi aveva un fuoco dentro che colpiva tutti quelli che lo avvicinavano. Era talmente preso dalla gratitudine verso i doni che il Signore gli aveva concesso, quel suo carisma ineguagliabile, quel suo desiderio di stare accanto agli ultimi, quella voglia di rendere moltiplicati i tanti talenti di cui Dio l’aveva fornito che neanche trovava il tempo di dormire nel suo letto. Ogni tanto si addormentava in auto, appena iniziava a recitare il santo rosario. Questa era il senso della sua fretta:
non sprecare neanche un attimo dell’esistenza, ma fare di tutto per restituire quanto ricevuto.
Ma non per un dovere, perché spinto solo dal fare, ma per rispondere alla propria vocazione. Per se stesso. Per realizzare se stesso.
Questa è la chiamata cui ha risposto Maria in quell’occasione specifica, quella che Francesco propone ai giovani e a tutti noi: ridonate i vostri talenti. Se moltiplicherete quanto avete ricevuto, troverete voi stessi, nella fatica certo, ma soprattutto nella gioia perché avrete trovato voi stessi. È quello che i giovani hanno sperimentato alla grande in questi giorni a Lisbona. Hanno faticato, hanno sudato, hanno scarpinato, hanno respirato e mangiato polvere. Hanno mangiato spesso poco e male, ma non si sono mai lamentati, come ho potuto verificare nelle decine di interviste realizzate macinando chilometri in mezzo a loro e con loro. Hanno continuato a sprigionare gioia, quella da portare nel mondo, come li ha spronati Papa Francesco nella veglia di sabato.
È la stessa spinta che mi muove ogni giorno, fin dal primo mattino. Senza indugio, in mezzo a mille errori e ad altrettante difficoltà, metto insieme le notizie per raccontare di una presenza che ha cambiato la mia vita così come ha cambiato quella del milione e mezzo di giovani che erano qua. Da quella presa di consapevolezza nasce un’esperienza che si fa vita concreta. Allora non ci sono più pesi insopportabili. Anzi, si fa breccia quel desiderio di alzarsi e andare di corsa, proprio come Maria che si fece compagna di viaggio, per tre mesi, alla cugina Elisabetta. Proprio come noi vogliamo farci compagni di viaggio agli uomini e alle donne di oggi, per raccontare al mondo la bellezza di ciò che abbiamo incontrato.